Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Ci avviciniamo alle feste natalizie, illuminati dalla quasi quotidiana smarronata di Berlusconi (“Forza Italia è l’unica forza credibile oltre il Pd e dunque bisogna continuare il lavoro. Il Paese ha bisogno di riforme e il patto del Nazareno, che prevede che il futuro capo dello Stato sia di nostro gradimento, va rispettato”). A parte l’offesa inutile e gratuita, recata a tutte le altre forze politiche, il Cesare di Arcore dovrebbe spiegare in base a quale titolo pretende che “il futuro capo dello Stato sia di nostro gradimento” o se parla in forza ad un titolo legittimo spiegare agli italiani il prezzo pagato per ottenere un risultato del genere: quello di parlare e quello di reclamizzare riforme, che non esistono o che devono essere sperimentate sul campo, lo Jobs Act, o che in partenza si tradurranno nella creazione di un “Senato” egemonizzato per la sua articolazione dalla sinistra, vista l’inconsistente presenza negli enti locali del fu centrodestra? Oltre tutto Berlusconi parla a nome di un partito, sempre più diviso ed in cui sempre più profondo è il malcontento per questa gratuita, inopportuna ed autolesionistica subordinazione al “puffo”.
Mentre sono apparse piuttosto flebili e formali le proteste di FI per il confermato nullismo del governo sulla vicenda di Latorre e Girone, salvo una sacrosanta e documentata denunzia di un giornalista, non certo forzista ma di ben altra formazione, quale Fausto Biloslavo (“La farsa del governo. La linea dura sui marò. Purtroppo è finta”), debole e comunque non adeguata alla gravità della prepotenza espressa è stata la riprovazione per l’intervento del presidente del PD, tale Matteo (il nome dell’apostolo com’è finito male con questi tre Mattei!!) Orfini, il quale si è permesso di censurare il prefetto di Roma, con la chiara intenzione di intimidire, per le troppe interviste rilasciate.
Nessuno che abbia notato che si tratta della prima prova della patente di onnipotenza e di indiscutibilità, rilasciata l’altro giorno dal Quirinale, al “contastorie”, alle sue donne ed ai suoi uomini!
Intanto l’ennesimo Matteo sulla palcoscenico della politica continua l’arruolamento delle truppe destinate a rappresentarlo e a presentarne le idee nelle regioni meridionali. Dai nomi diffusi pare si profili la creazione di un’autentica “armata Brancaleone” di insoddisfatti, di delusi, di riciclati, di rifiutati dalla politica e soprattutto dagli elettori.
A costo di deludere qualche sorprendente zelatore di “Pippo Spacca”, firma del foglio della famiglia Berlusconi, occorre rileggere e sottoporre alla generale attenzione un articolo di Sergio Rame, dal titolo “Province, è solo un bluff: così si rischia il default. Le regioni rifiutano le competenze delle Province. Ma restano i tagli e gli esuberi”, la miliardesima rivoluzione inesistente del venditore di pignatte.
Le Province infatti, oltre a mantenere peso decisionale nell’ambito dell’edilizia scolastica, della viabilità e dell’ambiente, continueranno a gestire le competenze rifiutate dai governatori. La prima Regione a muoversi è stata la Lombardia, insistendo sulla validità della situazione pregressa. A nulla – come di consueto – vale l’emendamento per assegnare alle Province ed alle Città metropolitane 90 giorni per il taglio del personale. Francesco Cerisano su “ItaliaOggi” con motivazioni più che fondate ha osservato che c’è “il rischio che i lavoratori debbano restare a libro paga delle Province in sovrannumero, senza peraltro avere la certezza che vi sia un ente pronto a riassumerli”.
Intanto, tanto per consolidare il primato tutt’altro che lusinghiero, il governo ha posto sul disegno di legge di stabilità per l’ennesima occasione una fiducia.
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