Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Filippo Lippi. Madonna con Bambino e angeli
Quando passo davanti al Liviano di Giò Ponti in quel di Padova, la cosa avviene perché provengo quasi sempre da una stradina laterale e porticata dal nome bizantino, via Patriarcato. La imbocco giungendovi dalla camminata lungo la riviera Paleocapa. In piazza Capitanato, qualunque sia la direzione che devo percorrere, sacrifico alla voluta deviazione non più di un paio di minuti e volto a sinistra per arrivare in pochi passi a lustrarmi gli occhi e gioire qualche istante della pieve romanica di San Nicolò. Ne avevo tempo addietro disegnata la facciata con l’arco a grondaia ed il campanile prospicenti lo slargo con una torre medievale d’angolo. Tratteggiati con cura sommaria sul retro d’un foglietto che, staccato da un’agenda, avevo provvidamente rimpiattato in una tasca avvolgendolo intorno ad un mozzicone di lapis. A casa avevo poi ripassato con l’inchiostro i tratti alquanto incerti del lapis ed archiviato l’appunto estemporaneo in una non voluminosa pila irregolare di fogli, biglietti e addirittura striscioline di carta strappate dai rotolini in uso sui registratori di cassa, e tutti costellati di scarabocchi. Non procedo infatti con il rigore delle buone abitudini ma opero distrattamente. Di quando in quando rovisto nella pila onde raggruppare quanto sia possibile i fogli con un ordine che vada per argomenti.
In un recente rovistare ritrovo in un altro appunto, con delle architetture di prospettive scenografiche che avevo plausibilmente ammirato scorrendo un’opera sui Galli Bibbiena, anche una sentenza vernacolare trascritta dopo aver sfogliato con raro diletto un volume sui colli Euganei:
“quel che se fissa se fa”.
È la massima che generazioni di abitanti di questi colli, usano per giustificare l’appendere un quadretto di arte più o meno rifinita nelle camere delle donne fin dai primi mesi dell’attesa. I quadretti di questa pietà di campagna devono raffigurare o dei volti d’angelo o dolci Madonne col Bambino e la ragione ne è esplicata appunto dal lapidario e magnifico “quel che se fissa se fa”.
Si raccomanda infatti che la futura madre abbia durante l’attesa sotto gli occhi, e questo soprattutto quando si corica, sempre un’immagine di quieta bellezza perché ciò l’aiuterà a dar vita, a sua volta, ad un bel fanciullo o fanciulla. Ovvero, come lo si può intendere traendo dalle parole dei semplici il tutto il senno non espresso, ci si augura e si propizia attivamente con la modesta e silente contemplazione dell’immagine una nascita la cui bellezza sia specchio di un’altra bellezza, di quella interiore.
Nel racconto del volume vi erano a corredo vetusti disegni di mappe tracciate ad inchiostro ed acquerellate, e poi gustose ricette di cucina fra le quali rammento una focaccia dolce degli Euganei detta smejassa. Non mancavano i savi consigli sulle colture. Trattavasi dunque d’un opera semplice e rivolta ai paesani.
E però la clamorosa biblioteca dell’Università patavina che pare essere uno dei porti più muniti di tutta Europa per la filosofia che abbia fra i suoi ponderosi testi un qualcosa pari in vigore e dottrina a questa semplice pratica e a tale profonda sentenza che vuol propiziare una bella nascita? All’evento principe della nostra vita, la nascita, si cerca di dare forma con l’ausilio di una contemplazione estetica che cela in sé un sentito augurio spirituale.
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