Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
La dura (?) polemica a proposito dei limiti di applicazione del Jobs Act (non conosco l’inglese, ne ignoro quindi il significato ma non mi interessa più di tanto), se riguardi o non comprenda i dipendenti statali, spinge a due domande semplici e correlate: se le norme sono vantaggiose per i dipendenti privati perché escludere gli statali? Se danneggiano i primi, perché privilegiare i secondi? In altri termini il Jobs Act è un privilegio per chi e un danno per chi? Il nodo come sarà sciolto? Non certo con le solite parole minacciose del bambino, che occupa palazzo Chigi e che dovrebbe preoccuparsi del “danno erariale” e dei guai di papà, ma sicuramente ci sarà qualcuno a proteggerlo ma non dall’”alto dei Cieli”.
Due articoli di incisiva quanto misurata critica all’operato dello “statista” servono per dimostrare la linea errata e spesso, troppo spesso autolesionistica e confusa seguita dal foglio della famiglia Berlusconi e dallo stesso “Libero”, che, serio e coerente nella posizione di organo di opposizione, alcune volte scade nell’urlato.
Luca Ricolfi su “La Stampa”, dopo aver risolto a favore dei nuovi il confronto con i vecchi del Pd, si interroga sull’operato dell’esecutivo, concludendo che “chiunque provi a ripercorrere questi dieci mesi non potrebbe non constatare che nulla di ciò che era stato annunciato entro una certa data è stato portato a termine nei tempi previsti, e buona parte attende tuttora di essere portato a compimento”. Dopo questa premessa, tutto sommato benevola, Ricolfi nota che le misure varate “sono puntualmente riconoscibili nei benefici […] ma opache e diffuse nelle coperture e negli effetti collaterali (perché i relativi costi sono distribuiti su una miriade di soggetti, comprese le generazioni future”. In altri termini l’iceberg, che sorregge il puffo, punta esposta, ha operato in maniera che il pubblico ne percepisca il lato benefico, ma ne ignori o ne sottovaluti il lato oscuro (aumento di altre tasse, riduzione di servizi, maggiore deficit pubblico). Rilevante è l’osservazione sull’argomento di maggiore presa del venditore di pignatte, l’assenza di antagonisti validi e credibili. “Quest’ultimo – segnala l’editorialista – è il maggiore fattore di rischio per Renzi, perché nulla garantisce che la mancanza di alternative si protragga indefinitamente”.
Non c’è da augurarsi che rapidamente si avveri la famosa frase della commedia di Eduardo “Adda passà ‘a nuttata”.
Al di là degli altri argomenti toccati nella nota Dario Di Vico sul “Corriere della Sera” inquadra i nodi cruciali irrisolti del tema nelle righe di avvio: “Una cosa va detto subito: al di là delle opposte valutazioni politiche di queste ore il Jobs Act non appare come “la” riforma del lavoro, casomai ne è il primo atto. E non solo perché mancano almeno altri importanti decreti attuativi ma perché le amnesie che il governo ha mostrato su altri due capitolo (le partite Iva e Garanzia Giovani) dimostrano che Matteo Renzi e i suoi non hanno ancora maturato una visione complessiva dei mutamenti che stanno attraversando l’economia e dei riflessi immediati che hanno sul lavoro moderno”. Non sembrano proprio carenze trascurabili.
Due titoli de “Il Tempo” offrono un’immagine indiscutibile della situazione reale e non di quella immaginaria strombazzata da palazzo Chigi. Il primo è agghiacciante “Aumenta tutto, italiani in bolletta. Tariffe record, Acqua (+6%), rifiuti (+15%), trasporti (+3%), autostrade (+4,5%), spese sanitarie (+5%). Salasso casa. In dieci anni per luce e gas rincari fino al 50%”. Il secondo è amaro e umiliante “Uomini, mezzi, strutture. Pompieri allo stremo. E i nostri vigili del fuoco in mutande per gli sprechi”.
Commenti non sono possibili anche se occorrerebbe qualcuno che se ne facesse carico onesto e concreto.
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