Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
elle regge e nei palazzi di tutto il mondo esistono sale dai nomi fantasiosi ed evocativi che rimandano, a miti, eroi, battaglie, grandi eventi del passato o semplicemente a effetti cromatici. Così a Firenze Palazzo Pitti, la splendida reggia dei Medici e dei Lorena (almeno prima che la rovinassero i Savoia) ha la sfarzosa e barocca sala dei Pianeti, dal sapore squisitamente mitologico, la sala di Apollo e così via. Ma come avrà reagito tutta questa gloriosa stirpe di dei ed eroi a trovarsi vicino una sala dal nome quantomeno triviale e plebeo? E soprattutto …. Cosa ci si faceva in quella sala?
Meglio lasciare la parola alla fonte, del tutto attendibile e certe anche perché riprende fedelmente un diario di corte del XVII secolo: “A dì 5 detto S.A. con il principe Don Francesco andorno su nella sala della Scoreggia dove s’armorno e s’esercitorno per la barriera e presero lezione dal sig.re Silvio Piccolomini suo maestro di camera.[1]
La testimonianza è di per sé … disarmante e lascia adito alle più triviali congetture: che razza di armi si potevano prendere nella … sala della Scoreggia? Forse cavoli e fagioli? E c’era pure un maestro di Camera che impartiva lezioni, a cui partecipava nientemeno che il granduca in persona, perche la sigla S. A. indica indiscutibilmente lui? Neppure ai tempi del calunniato e infamato Gian Gastone (che è peraltro più tardo di un secolo ) si sarebbe potuto ipotizzare cotanto!
Davvero un bel rompicapo per il provetto storico che voglia cimentarsi nel risolvere misteri secolari. Quel che si può dire per fornirgli una traccia (insonorizzata ed inodore, sia chiaro) è cercare di chiarire il contesto di questa sconcertante testimonianza.
L’opera di Angelo Solerti è tratta da un diario della corte medicea, conservato alla Biblioteca Nazionale, in cui sono accuratamente annotate le feste, i balli e gli spettacoli: opera preziosa per più di una ragione, soprattutto per gli studiosi di storia della musica e del melodramma in particolare. il periodo è quello che va dal 1600 al 1637, quindi sotto i regni di ben tre granduchi: gli ultimi anni di Ferdinando I che regnò dal 1587 al 1609, Cosimo II (1609 - 1621) e infine Ferdinando II, che resse lo stato toscano sino al 1670. Nonostante i diari e le cronache fiorentine siano alquanto larghe in pettegolezzi, malignità e maldicenze anche e soprattutto … sovrane, a nessuno dei tre vengono attribuite particolari tendenze all’aerofagia, tantomeno … agonistica! Erano tutti, da buoni Medici, assai appassionati di musica, tanto che Ferdinando I fu probabilmente in qualche modo il mecenate della nascita del melodramma; ma per l’appunto si trattava di musica di … ben altro tipo e melodia.
L’anno è il 1613, giorno 5 febbraio, regnante dunque Cosimo II: l’iconografia ce lo presenta come un giovane esile e dall’aspetto elegante anche se un po’ sofferente. Ebbe infatti una salute molto delicata e morì precocemente a causa della tisi contratta sin dalla prima età; cosa che peraltro non gli impedì di essere un sovrano accorto e saggio, molto più di quanto la sua giovinezza – salì al trono appena diciannovenne e morì a trentuno anni - avrebbe lasciato supporre. Quanto poi al Silvio Piccolomini in questione, si trattava nientemeno che del Gran Connestabile dell’Ordine di Santo Stefano, personaggio dunque di indiscussa serietà. Vero è che aveva ricoperto anche l’incarico di generale delle artiglierie granducali e questa è l’unica cosa che potrebbe indurre a qualche malizioso sospetto … Ma il giovane Cosimo, allievo di Gian Francesco Rucellai e soprattutto Galileo Galilei, ritratto “longilineo e palliduccio, con esili gambe calzate di bianco, i calzoncini gonfi, le maniche a sbaffo, il giustacuore stretto e il volto affilato dentro l’ampio collare di trina” [2]protettore delle scienze e delle arti, è davvero impossibile vederlo nei panni di un impenitente “petomane”, anche solo per un goliardico sollazzo non certo ignoto ai toscani e non solo delle classi inferiori. Eppure la testimonianza del Solerti, anzi del diario di corte, è inequivocabile: non solo,ma dopo rincara la dose dicendo che il giorno 6, “dopo aver udita la messa in casa” Il Serenissimo granduca tornò, sempre col medesimo principe don Francesco (probabilmente il fratello minore del granduca, destinato a morire appena ventenne l’anno dopo) “su nella sala della Scorreggia a provare la barriera”. Che fossero rimasti a corto di munizioni d’altro tipo?
Il Serenissimo granduca e gli altri personaggi di questa vicenda ci perdonino - da buoni e arguti toscani – l’impertinenza e la licenza non proprio poetica. Sicuramente sia il nome che la sala alludevano a tutt’altro, anche se sia sulla sua ubicazione che sulla sua funzione nessuno a tutt’oggi ha dato risposta a chi scrive. Sono piccoli e buffi enigmi ma una cosa è sicura: soltanto in una reggia toscana poteva trovarsi una sala con un nome così … altisonante!
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