Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
ra le fortune della mia vita, ho sempre detto di aver avuto quella di un padre che mi ha indirizzato sin da bambino lungo tre grandi “passioni”: quella letteraria, quella artistica e quella delle armi.
A lui devo quindi principalmente il romanzo che le contiene tutte e che mi ha accompagnato all’inizio nella sua versione edulcorata per ragazzi, fino ai giorni attuali nella sua forma integrale, che è “I Tre Moschettieri”.
A parte una bella versione per la televisione francese degli anni Sessanta o forse dei primi Settanta, tutte le messe in scena del romanzo di Dumas per il cinema lo hanno quasi sempre snaturato. Forse quella che preferisco, per costumi, attori e tono più scanzonato e irriverente, è quella degli anni Settanta con Michael York nei panni di D’Artagnan e Oliver Reed come Athos.
Ciclicamente il grande schermo recupera il romanzo e lo ripropone al vasto pubblico perché in effetti l’opera contiene tutto ciò che serve affinché funzioni sempre per quanto lo massacri il regista di turno. Dumas, secondo me, con “I Tre Moschettieri” ha creato il “romanzo perfetto” e chi lo leggesse in edizione integrale non tarderà a capire di trovarsi di fronte a qualcosa di complesso e non “per ragazzi”, a qualcosa che può stare sullo stesso piano di un “Signore degli Anelli” e che è servita per esempio come “traccia” anche al primo episodio di “Guerre Stellari”.
Certo, la formazione e lo scopo di Tolkien non sono quelli di Dumas, né lo sono i suoi “eroi” che a ben guardarli, tranne forse Athos, il Conte Olivier de La Fere, sono tutto tranne che eroi.
D’Artagnan è un ragazzotto di campagna tutto impeto e testosterone al quale non dispiace certo giacersi con qualunque donna ben disposta, siano esse il male incarnato di Milady de Winter o la gatta morta di Constance Bonacieux, poco importa. Se poi riesce anche a prender loro qualche soldo non lo disdegna di certo.
Porthos è un vero e proprio “magnaccia” che si fa mantenere da ricche vedove che spolpa spietatamente mentre cerca in ogni modo di avere un titolo nobiliare.
Aramis vive in perenne bilico tra la sua – poca – fede che lo vorrebbe prendere i voti tra i Gesuiti e le coltri dei letti a baldacchino con donne licenziose e lubriche della buona società parigina.
Soltanto Athos, l’unico ad essere veramente “nobile e cavaliere” dei tre moschettieri – D’artagnan è soltanto un cadetto – non si abbassa mai a perdere la sua antica dignità ed il suo antico onore. Benché anch’egli sia perennemente in bolletta come i suoi compagni d’arme, non si fa mantenere, non ruba – tranne alcune bottiglie di vino e salumi – non si approfitta di nessuno né di nessuna, non cerca amori ancillari, ma vive nel dolore di una malinconia che annega nel vino. Insomma è un maniaco depressivo alcolizzato.
Però io li amo tutti, persino il perfido Cardinale, e ovviamente Athos più di ogni altro.
Di tutto ciò nell’ultima versione televisiva per la BBC statunitense, in questi giorni trasmessa su Italia 1 con il titolo de “The Musketeers”, non vi è molta traccia, però devo dire che insieme al “Doctor Who” è l’unica serie tv che mi appassiona grandemente. Certo Dumas ha scritto di altri personaggi e altre storie, questi “Moschettieri” dei suoi hanno soltanto il nome e poco altro, ma sono più che piacevoli da vedere.
Sono una versione “rock”, sono giovani “californiani” vestiti di cuoio e borchie molto “trendy”, portano fusciacche e armi – perfette – in un modo “sbarazzino” come doveva essere nella realtà di un corpo irregolare come erano i Moschettieri Reali e che erano più simili a uno dei nostri Reparti Speciali d’assalto che non a una branca dell’esercito vero e proprio. I Moschettieri francesi del XVII secolo erano i “Navy Seal”, gli “SAS” dell’epoca. Facevano i “lavori sporchi”, mezzo spie, agenti segreti, sicari e assaltatori.
Dumas lo aveva compreso molto bene e anche questa versione americana ce li mette in tale luce. Certo della tragedia affettiva di Athos e del suo eccesso alcolico v’è poco, nulla della bramosia sessuale di D’Artagnan, la “vocazione” religiosa di Aramis è stata completamente negletta e infine, del buon Porthos se ne è fatta una versione “out of ghetto” in quanto divenuto “di colore”.
Mutano i tempi, ma il fascino degli archetipi rinchiuso nel profondo de “I Tre Moschettieri” non cambia.
Mi auguro che in questo modo, qualche ragazzino, stimolato dalla messa in onda di questi episodi, voglia provare a leggere il romanzo e scoprire così un mondo dove anche “i peggiori” vanno in cerca di due cose, le due che soltanto hanno importanza nella nostra vita: l’Amore e la Giustizia.
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