Volgarità e cattivo gusto

Tutto nel mondo è….bordello? Un Falstaff decisamente plebeo

E che dire del protagonista Giuseppe Battiston, con la doppia interpretazione?

di Domenico Del Nero

Tutto nel mondo è….bordello?  Un  Falstaff decisamente plebeo

La volgarità e il cattivo gusto come antidoti al crudo cinismo del potere? Che il vero senso della vita stia tra sbronze e scorregge è cosa che anche il più incallito tra i goliardi esiterebbe forse a concedere. E fare di Falstaff il simbolo quasi esclusivamente di una vita che è solo corpo è operazione forse un tantino discutibile, nonostante le dosi di “lirismo” e di problematicità che il regista Andrea de Rosa e il protagonista Giuseppe Battiston hanno voluto imbastirvi.

Non convince, anzi in buona parte delude, il Falstaff  che sta andando in scena in questi giorni al teatro Fiorentino della Pergola,  prodotto dalla Fondazione Teatro Stabile di Torino e ERT Emilia Romagna teatro Fondazione:  frutto forse di una vera e propria smania del “riveduto e corretto” che sta mostrando un po’ la corda e più che corretto sembra talvolta corrotto. Un  testo che raramente diverte, ancor più raramente commuove (tranne forse che nel finale) e sconcerta solo per il fatto che non si comprende dove si voglia andare a parare.

Questo a partire dal copione: era sicuramente intrigante e interessante mostrare  “l’altro volto” di Falstaff rispetto alle  Allegre comari di Windsor, quello appunto dell’Enrico IV (soprattutto) e dell’Enrico V. Anche Arrigo Boito, quando preparò il bellissimo libretto per l’ultimo capolavoro verdiano, pur prendendo le Comari  come base le “contaminò”con l’Enrico IV, proprio per dare più … spessore al carattere del corpulento sir John.

Qui sui testi del Bardo britannico sono stati fatti vari innesti: qualche passo dello stesso Boito (compresa la bellissima aria “quand’ero paggio del duca di Norfolk” involgarita in modo del tutto inopportuno),  la Lettera al padre di Kafka, Nietzsche e ancora altro. Ma tanta nobiltà letteraria non riesce a cancellare una impressione di volgarità e sciatteria espressa con mezzi scenici ormai decisamente abusati; dalle urla in scena, a raffiche di parolacce, di peti finti (almeno si spera che lo fossero); tutti ingredienti, ce lo insegnano tra gli altri  il sommo Aristofane e anche lo stesso Shakespeare, che se sapientemente dosati e al momento opportuno possono essere sicuramente efficaci e divertenti,addirittura geniali;  ma che se abusati o usati a sproposito finiscono col diventare  nauseanti. Così le due procaci ragazze col seno per aria per quasi tutto lo spettacolo, il principe Hal (fururo Enrico IV) sempre con l’ombelico di fuori (ma non avranno anche rischiato una polmonite, fra tutti?), tra l’altro discretamente interpretato dal giovane Andrea  Sorrentino, le scene allusivamente “orgiastiche”, tra l’altro doverosamente “di tutti i sessi” in omaggio al  politicamente corretto oggi imperante, più che una esaltazione del mito e della gioia del corpo finivano per essere una manifestazione di “animalità” a cui francamente ormai assistiamo tutti i giorni, per cui almeno il palcoscenico potrebbe risparmiarcela o ridurre la dose.

Ora, che la vitalità falstaffiana sia un archetipo “eterno” e che abbia sicuramente una forte connotazione corporea e quasi animalesca è fuori di dubbio, ma il vecchio, furfantesco e canagliesco sir John ha anche pur sempre una sua dignità che non consiste solo nella crapula e nell’ubriachezza. Si potrebbe caso mai parlare di una dimensione “dionisiaca” a cui forse si è voluto alludere, ma lo spunto è rimasto troppo soffocato da effetti d’altro tipo. Anche l’aspetto scenico  è tutto sommato deludente: Nella scena semicircolare di Simone Mannino (che ha curato anche i costumi, spesso eccessivi e troppo caricati), all’inizio  compaio in alto, in controluce, fra grandi tende e cuscini pronti a essere srotolati per costruire i diversi luoghi dell’azione, tutti i personaggi della combriccola: una taverna che è decisamente salax, ovvero un bordello in piena regola. Insomma, più  che tutto nel mondo è burla, come si chiude il Falstaff di Verdi, si può dire che il mondo è tutto  un … casino (nel duplice senso del termine).  Qui sir John e gli altri indossano a piacimento enormi pance-protesi che rappresentano, pare ci capire, una sorta di cornucopia dell’abbondanza. E la trama scorre per un’ora e cinquanta minuti senza interruzione, dalla scene di gozzoviglia a quelle forse eccessivamente “patetiche” e strillate del contrasto tra il vecchio re morente e il giovane figlio ormai penitente; decisamente migliori invece il “bando” di Falstaff da parte di Hal ormai divenuto re,  sino al racconto della morte del protagonista tratto dall’Enrico V (si veda l’articolo di presentazione di Laerte Failli, su questa stessa rivista).

E che dire del protagonista Giuseppe Battiston, che ha interpretato sia Falstaff che Enrico IV?  Un attore di spessore e discreta caratura, che per certi aspetti è stato la colonna portante dello spettacolo, ma che non poteva non risentire del clima generale e a volte è finito decisamente sopra le righe.

Insomma non è decisamente uno degli spettacoli migliori che abbia offerto la Pergola, ma in fondo il teatro è anche questo e succede anche nei migliori palcoscenici, come sicuramente è quello della Pergola.  Il pubblico? Applausi certo, ma non privi di imbarazzi e sembravano più dati per consuetudine (e per la solita paura di passare per “retrogradi” che per convinzione. I commenti all’uscita del resto non erano decisamente proporzionali agli applausi.

Repliche fino a domenica (feriali ore 20,45, domenica ore 15,45)

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