Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
lass="Normal">C’è un aspetto che colpisce nei commenti alla strage compiuta dal terrorismo islamico a Parigi: la reticenza della politica, della cultura, dell’informazione occidentale in genere, italiana in particolare, nel definire non solo il fatto di cronaca, ma tutte le problematiche connesse, in tutto il mondo. Limitiamoci a due soli casi, per così dire “istituzionali”: sia il ministro Boschi sia la presidente della Camera Boldrini, nel riferirsi all’eccidio, hanno parlato di “terrorismo”, tout court. Entrambe hanno omesso di citare il grido “Allah è grande” lanciato dai due assassini e le loro finalità di vendetta religiosa. Parlare di islam in termini critici e – Dio ne scampi! – di “scontro di civiltà” è ritenuto, nel pensiero unico planetario, poco meno che un attentato alla pacifica convivenza, uno scriteriato avventurismo, un’avvilente strumentalizzazione a scopo di meschina bottega politica.
Non è mancata e non mancherà la stanca litania della distinzione fra “musulmani fondamentalisti” e “musulmani moderati”, con i consueti appelli a questi ultimi, al fine di ottenerne “prese di distanza” dai jihadisti e manifestazioni di solidarietà verso le vittime degli attentati. Al riguardo, è possibile svolgere diverse considerazioni: intanto, la nozione di moderazione, applicata al dominio pubblico - politico o religioso - appartiene alla storia del pensiero occidentale e comunque oggi più che mai mostra contorni labili e imprecisi (basti pensare che l’Arabia Saudita, matrice storica della declinazione wahhabita, cioè intransigente, dell’Islam, e finanziatrice di gran parte della jihad, viene annoverata fra i paesi arabi “moderati”…).
D’altra parte, sappiamo tutti che l’Islam non è un monolite – a partire dalla distinzione capitale fra sunniti e sciiti – e che non esistono interpretazioni univoche, “canoniche” del Corano: in questa, più che in altre grandi religioni, sono possibili sviluppi e derive tra i più diversi e perfino contrastanti, in ogni caso riferibili al Libro e al suo Profeta. Così, si va dalla scelta di pochi – i maestri Sufi – vocati alla realizzazione spirituale e, quindi, essi sì, alla pace, allo scambio fecondo con omologhi “atleti dello spirito” di altre religioni, fino agli estremi dei tagliagole dell’ISIS e di Boko Haram.
Tralasciando però le tranquillizzanti accezioni esoteriche, non va dimenticata la perdurante attitudine espansiva dell’Islam exoterico, un’attitudine già fatta propria anche dal cattolicesimo, ma da questo abbandonata ormai da tempo: il sogno del Califfato non appartiene soltanto ai seguaci di Al Baghdadi, ma passa attraverso le più disparate forme di proselitismo, agevolate per di più dalla miopia della nostra civiltà; forme diversificate a seconda dei teatri in cui devono svilupparsi, e che assumono quindi aspetti di raffinata tecnica (ad esempio, l’uso del web, ma anche le più spericolate operazioni finanziarie e borsistiche), fino a quelle di efferata, minacciosa crudeltà, come in Nigeria o nei territori occupati dall’ISIS; senza trascurare l’arma demografica e quella dei matrimoni misti (nei confronti dei quali soltanto la chiesa cattolica, anni fa, seppe lavare la sua voce, subito zittita dal buonismo imperante, non solo in Italia).
Ma torniamo ai rapporti con l’Islam “moderato”. Va riconosciuto che, specie di recente, sono state frequenti le critiche e addirittura le condanne nei confronti degli estremisti della Shaaria; critiche e condanne, per la verità, inficiate dalla negazione dell’appartenenza all’Islam dei terroristi, magari adducendo l’argomento che spesso le vittime delle loro imprese criminali sono proprio musulmani che non si riconoscono nelle loro farneticazioni. Sarebbe come pretendere che le guerre di religione fra cattolici e protestanti esulavano dall’alveo del cristianesimo. Certo, vanno apprezzate talune prese di posizione “istituzionali”, come quella del presidente egiziano Al Sisi, in occasione del discorso tenuto il 1° gennaio davanti agli imam ed agli ulema della prestigiosa Università Al Azhar del Cairo; la situazione tuttavia è complicata dai differenti scenari geopolitici in cui operano i fondamentalisti, e che vanno dalle Filippine al vicino Oriente, dalla Nigeria e da tutta la fascia subsahariana fino alla Somalia, senza contare i forti insediamenti in Europa (in Eurabia, ha scritto Oriana Fallaci, alla quale speriamo di non dover attribuire, a posteriori, il ruolo di Cassandra).
L’aspetto però più preoccupante è dato da quella che, durante gli “anni di piombo”, veniva denominata la “zona grigia”, quella dei fiancheggiatori più o meno dichiarati del terrorismo: sotto questo profilo, certe interviste rilasciate a nostre emittenti da immigrati musulmani, anche regolarmente inseriti nella nostra società, non lasciano affatto tranquilli e ripropongono non solo il tema dei controlli sui flussi migratori, ma anche quello delle procedure per l’ottenimento della cittadinanza e dei modelli culturali da adottare, dopo l’incontestabile fallimento, specie in Inghilterra e in Francia, di quelli “assimilazionista” e “multiculturale”.
A questo proposito, sembrano curiosamente confluire, pur da posizioni contrapposte, le convinzioni dei “sostenitori” dell’Islam, presenti nel ceto intellettuale riferibile alla destra (da noi, un Buttafuoco, un Massimo Fini) e quelle di esponenti della politica, ma anche della cultura, di centro-sinistra: entrambe le schiere, infatti, pur con motivazioni diverse, tendono a sottovalutare il consenso di cui godono i fondamentalisti nell’opinione pubblica islamica mondiale e, in particolare, europea. Mi pare si dimentichino che è da tempo in atto un’offensiva jihadista anticristiana in ogni parte del pianeta, e non solo di stampo terroristico, ma anche apertamente bellico e perfino “giudiziario” e legislativo, con le condanne pronunciate da tribunali islamici per apostasia e blasfemia e con la persistente, denegata reciprocità nella libertà di culto. Si aggiungano le spiegazioni (giustificazioni?) in chiave storica, del diffuso “malanimo” musulmano, ascrivibile - secondo le benevole interpretazioni di tanti nostri stimati amici – alle “colpe” ed agli errori dell’Occidente, sia nell’epoca coloniale che dopo la prima guerra mondiale che in occasione dei recenti conflitti in Iraq e in Afganistan. E’ proprio questo che intendono Al Baghdadi e i suoi, quando parlano di “crociati” e si prefiggono la conquista di Roma e di San Pietro. Quanto a minimizzare le imprese jihadiste, basta scorrere il planisfero, per avere sottocchio i territori caduti sotto il controllo del preteso Califfato e delle sue derivazioni “in franchising”, dalle zone di confine fra Siria e Iraq a quelle fra Pakistan e Afganistan, dal Mali alla Libia, dalla Somalia allo Yemen.
Pericoli per noi, nell’immediato? Una giovane, incosciente parlamentare del PD, polemizzando con un esponente della Lega, a proposito di immigrazione e di combattenti di ritorno dal teatro di guerra in Siria, sottolineava come i combattenti islamisti “italiani” siano solo cinquanta: come se fosse da temere un’invasione di massa e non l’iniziativa di quello che è stato definito terrorismo “molecolare”…
Certo, la nostra civiltà è caratterizzata, fra l’altro, dalla capacità, maturata nei secoli, di saper coltivare il dubbio e di sapere riconoscere le ragioni degli altri: il nostro problema di oggi sembra consistere tuttavia nella incapacità di saper riconoscere e difendere le nostre, di ragioni. E di questo parlano due libri appena usciti in Francia, “Il suicidio francese” e “Sottomissione”, rispettivamente un saggio di Eric Zemmour e un romanzo di Michel Houellebecq: della “stanchezza” della nostra civiltà, dell’incapacità – francese, nello specifico, ma poi europea – di individuare il Nemico schmittiano e di fare appello all’orgoglio dell’identità, nelle sue componenti laico-illuminista e cristiana.
A Houellebecq, che prefigura una fantastoria prossima ventura in cui verrà eletto il primo presidente francese musulmano, l’Islam appare invece come una forza culturale viva e vitale, sicura dei suoi valori, capace di prescindere da quelli nei quali pure vive tanta parte del suo multiforme popolo, quali la libertà, la democrazia, l’uguaglianza nei diritti. Dalle pagine del “Suicidio francese” e da quelle di “Sottomissione”, insomma, sembra delinearsi, per l’Europa, una sorta di eutanasia di una civiltà. Non è questa la sede per cercare di tratteggiare le linee di una risposta strategica: certo è che, così come hanno depotenziato e marginalizzato il cattolicesimo la cultura dei diritti e l’onnipotenza della laicità - con la conseguente manomissione dei codici morali consolidati in materia di famiglia, autorità, educazione - quegli stessi fattori di secolarizzazione potrebbero contagiare l’Islam (ed ecco riaffiorare l’illusione di un moderatismo musulmano…). Analogamente, la stessa miscela ibrida di Tecnica e Religione potrebbe esplicare un effetto dirompente anche nei confronti dell’intransigenza islamica… L’altra via d’uscita, per l’Europa, sarebbe rappresentata da una nuova valorizzazione delle sue radici cristiane, e da una considerazione della religione non più soltanto come fatto privato o come impresa di carità collettiva; ma il ripiegamento dalle cattedrali gotiche e dalle Stanze Vaticane alla foresteria di S. Marta, così come l’attitudine a un dialogo subalterno e ad un pacifismo senza se e senza ma non lascia ben sperare.
Inserito da daniele il 09/01/2015 19:58:44
Sono d'accordo quasi su tutto. Questo articolo mi pare uno spiraglio di consapevolezza del problema e della sua gravità.L'islam è incompatibile con la nostra civiltà (cristiana!).La realtà è una, quindi anche la Verità e Cristo ci ha detto "Io sono la Via, la Verità e la Vita" Giovanni 14,6.Uno può avere dubbi, comunque si tenga conto che nel caso peggiore abbiamo tutti torto ma sicuramente non possiamo avere tutti ragione.Penso che gli "amici" dell'islam nella "destra" facciano un danno all'Italia, prima di tutto, poi anche alla "destra"; vorrei votare un partito che avesse nel DNA la difesa della nostra civiltà, della nostra terra. Fanno danni anche quelli che armeggiano con croci celtiche o vanno dietro a Nietzsche &Co.
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