Ardengo Soffici

La rivoluzione della poesia del '900

Fece conoscere in Italia Rimbaud, amico di Apollinaire, nei suoi

di Giovanni F.  Accolla

La rivoluzione della poesia del '900

Ardengo Soffici

Non sono uno di quelli che se li inviti a casa, ti iniziano ad addrizzare i quadri alle pareti o ad allineare, secondo una personale metodica o pseudo visione estetica, i ninnoli sulla tua libreria. Non sono un pignoletto, insomma, anche se non approvo, lascio correre. Rispetto il mio prossimo, al meno ci provo, ma in fatto di letteratura, e di poesia in particolare, alcune grossolanità di giudizio, certe ingiustizie metodologiche, mi possono far impazzire. Potrei sfidare a duello chiunque per salvare l’onore e salvaguardare il valore di un poeta che amo!

Così, quando leggo che la critica letteraria più accreditata è tanto confusa tra un Ardengo Soffici “interessante, vitale e diffusore di cultura” (Mengaldo) e un Soffici “purista, neoclassico e filisteo” (Baldacci); convinto come sono che, da una parte non ci sia un autentico iato tra avanguardia e ritorno all’ordine, e dall’altra che il poeta-pittore di Rignano sull’Arno sia un monumento di genialità da cui imparare e da custodire; come si suol dire, vado via di testa!

I giudizi letterari correnti, non mi pare prendano in esame l’opera complessiva di questo autore al quale, per altro, l’Italia tanto deve per il complessivo lavoro di provincializzazione culturale; ma scolpiscono due statici monoliti, due mondi separati, rappresentati dal momento futurista e da quello, per così dire classicista.

È un vizio culturale che ha fatto non poche vittime. Mi viene in mente un altro grandissimo personaggio della cultura di quegli anni, per certi versi trattato alla stessa stregua: Carlo Carrà. Se dovessi, infatti, trovare un'immagine per rappresentare il mio pensiero sul rapporto tra tradizione e modernità, eleggerei a icona la sua tela “Il pino in riva al mare”. Lo avete presente? Se non ci fosse stata l’esperienza futurista, quel quadro così giottesco, così incardinato ai canoni della tradizione della pittura italiana di Piero della Francesca e Paolo Uccello, non si sarebbe potuto realizzare, neanche immaginare: sarebbe stato quasi ridicolo. Non è un paradosso, o - se si vuole - questo è il paradosso della modernità.

Quella pittura di Carrà del vero ha le sembianze e ben poca sostanza: è stile, non forma interiore, né statico monumento alla realtà; è prova dell’esistenza, lontananza e durata. E’, per dirla con il poeta tedesco Gottfried Benn, “realtà antropologica delle forme spirituali”.

Tornando a Soffici sfruttando questa sponda, ovvero abbandonando il pregiudizio e pensando alla sua opera come un unicum (del resto unica è la vita) in movimento tra tante e differenti contaminazioni culturali, credo si avverta la forza di un grandissimo intellettuale. Lo stesso che, all’inizio del Secolo scorso, quando era ancora sostanzialmente un pittore e dalla Francia importa segni pittorici e linguaggi nuovi (penso a Cézanne, a Medardo Rosso), sulle pagine de La Voce, era il 1910, scrive: “Trovo ancora il buon vecchio sole abbastanza interessante per non buttarlo nella cassetta della spazzatura, come un’arancia andata a male; non ho rancori personali con le stelle; né per i begli occhi di una lampadina ammazzerò il chiaro di luna.”

Non una adesione acritica al Futurismo, la sua, ma un progressivo e meditato avvicinamento. E quando il Futurismo lo abbraccia, Soffici è un esponente geniale, autentico e originale, ne sono una prova i versi raccolti in “Bif zf + 18 - Simultaneità e Chimismi Lirici”: componimenti in cui il suo impressionismo nativo (“L’ignoto toscano”, “Arlecchino e il giornale di bordo”, per intenderci) si piega ad un bisogno di sperimentalismo autentico così convinto e convincente, da influenzare egli stesso i suoi contemporanei. (Arcobaleno: In giro / da una città all’altra di filosofia in delirio / D’amore in passione di regalità in miseria).

“Simultaneità” è, infatti, uno dei primi  e più audaci laboratori poetici italiani in cui si sperimentano sintagmi di assoluta novità per la nostra letteratura, dove si fondono con esiti compiuti colore e senso musicale, linea e tono, forma e sensualità. Il meglio della poesia francese - penso ovviamente a Apollinaire, ma anche a Rimbaud che da noi pochissimi avevano ancora letto  e anche delle anticipazioni del Surrealismo -  in salsa italiana ed anzi, toscanissima.

Riporto alcuni brani (è lunghissima)  di una delle poesie più note di Ardengo Soffici,  “Arcobaleno”

Inzuppa 7 pennelli nel tuo cuore di 36 anni finiti ieri 7 aprile
E rallumina il viso disfatto delle antiche stagioni
Tu hai cavalcato la vita come le sirene nichelate dei caroselli da fiera
In giro,
Da una città all'altra di filosofia in delirio
D'amore in passione di regalità in miseria
Non c'è chiesa cinematografo redazione o taverna che tu
non conosca
Tu hai dormito nel letto d'ogni famiglia
Ci sarebbe da fare un carnevale
Di tutti i dolori
Dimenticati con l'ombrello nei caffè d'Europa
Partiti tra il fumo coi fazzoletti negli sleeping-cars diretti al
nord al sud
Paesi ore
Ci sono delle voci che accompagnan pertuttto come la luna e
i cani
Ma anche il fischio di una ciminiera
Che rimescola i colori del mattino
E dei sogni
Non si dimentica né il profumo di certe notti affogate nelle
ascelle di topazio  (…)
 Non c'è più tempo
È un verme crepuscolare che si raggricchia in una goccia  
di fosforo
Ogni cosa è presente
Come nel 1902 tu sei a Parigi in una soffitta
Coperto da 35 centimetri quadri di cielo
Liquefatto nel vetro dell'abbaino
 (…) Il negozio di Chaussures Raoul fa sempre concorrenza alle
stelle
E mi accarezzo le mani tutte intrise dei liquori del tramonto
Come quando pensavo al suicidio vicino alla casa di
Rigoletto
Si caro
L'uomo più fortunato è colui che sa vivere nella contingenza
al pari dei fiori  (…)
L'eternità splende in un volo di mosca
Metti l'uno accanto all'altro i colori dei tuoi occhi
Disegna il tuo arco
La storia è fuggevole come un saluto alla stazione
E l'automobile tricolore del sole batte sempre più invano
il suo record fra i vecchi macchinari del cosmo
Tu ti ricordi insieme ad un bacio seminato nel buio
Una vetrina di libraio tedesco Avenue de l'Opera
E la capra che brucava le ginestre
Sulle ruine della scala del palazzo di Dario a Persepoli
Basta guardarsi intorno
E scriver come si sogna
 Per rianimare il volto della nostra gioia
Ricordo tutti i climi che si sono carezzati alla mia
pelle d'amore
Tutti i paesi e civiltà
Raggianti al mio desiderio
Nevi
Mari gialli  
Gongs /
Carovane
Il carminio di Bomay e l'oro bruciato dell'Iran
Ne porto un geroglifico sull'ala nera
Anima girasole il fenomeno converge in questo centro di danza
Ma il canto più bello è ancora quello dei sensi nudi
Silenzio musica meridiana
Qui e nel mondo poesia circolare
L'oggi si sposa col sempre
Nel diadema dell'iride che s'alza
Siedo alla mia tavola e fumo e guardo
Ecco una foglia giovane che trilla nel verziere difaccia
I bianchi colombi volteggiano per l'aria come lettere
d'amore buttate dalla finestra
Conosco il simbolo la cifra il legame
Elettrico
La simpatia delle cose lontane
Ma ci vorrebbero della frutta delle luci e delle moltitudini 
Per tendere il festone miracolo di questa pasqua  
il giorno si sprofonda nella conca scarlatta dell'estate
E non ci son più parole
Per il ponte di fuoco e di gemme
Giovinezza tu passerai come tutto finisce al teatro
Tant pis Mi farò allora un vestito favoloso di vecchie affiches.

Al fondo di questi versi straordinariamente moderni ed espressivi a ben vedere c’è una poetica dello sguardo e un impressionismo, un piano tutto visivo - insomma - e un altro prevalentemente meditativo, che sono per Soffici il crisma e la cifra di vita artistica intera.

A prova di una organicità complessiva del suo lavoro, inoltre, va ricordato che egli lavorò senza tregua ad una puntualizzazione concettuale e tipografica della sua opera, fino praticamente alla morte, inserendo in un unico grande corpo tutta la produzione poetica  (“Marsia e Apollo”; VI volume) che va dai “Chimismi” ad “Intermezzo”, da “L’elegia dell’Ambra” ad “Apollo”. 

Insomma, Soffici, per tutta la sua vita girovaga ha avuto le radici ben piantate in terra, e  grazie alla  sua  “anima girasole” - per dir la con i suoi versi - ha goduto delle suggestioni del suo tempo rimanendo fedele a se stesso. Italiano, toscano e cosmopolita. Un grande intellettuale e un grande artista da riconsiderare. 

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