La storia di un attentato

Una voce da Kabul

di Marika Guerrini

Una voce da Kabul

E’ sempre così: lo squillo del telefono, la linea tra fischi e fruscii, all'inizio, soltanto, la linea  liberata, la consapevolezza che siano tre le orecchie in ascolto e non due. E' sempre così, anche stamattina. I saluti, le domande personali, le risposte, poi: qui gli occidentali non escono più da casa, hanno paura. Loro, lì a Parigi, non sapevano quel che stavano facendo, né gli uni prima, con la satira dissacrante, né gli altri poi, con la risposta di violenza. Ma sono vittime entrambi. 

Qualche istante di silenzio mi fa dubitare della linea, della probabile interruzione: pronto, dico, ci sei? Sì ci sono, risponde. Ancora qualche attimo di silenzio e: Sai che non sono osservante, il che mi dà obiettività, ma l'islam non ha mai messo in ridicolo la Santa Trinità o il Signore dei Vangeli. Questo va detto all'occidente. La dissacrazione dei simboli sacri è dissacrazione per tutti.   A questo punto il pensiero, il mio, è andato al vaso di Pandora per poi passare agli articoli dei giornali, dei nostri, perché la voce aveva preso a dire: qui a Kabul, non è stato riportato nulla su Parigi, sul fatto, nessun canale di stampa o televisivo ne ha parlato, tranne gli occidentali che sanno per altre vie, non ne sa niente nessuno. 

Taccio, penso alla grande adesione d'occidente, al suo contribuire, per questo solo fatto, al probabile scoperchiarsi del vaso leggendario, ma non voglio esprimermi, è una sorta di corresponsabilità a frenarmi, un sentimento di complicità malgrado i miei pensieri, le convinzioni, una sorta di coerenza all'emisfero occidentale per via di nascita, di destino.
 E mentre con la mente freno le parole,  la voce da Kabul ha preso a raccontarmi una storia, la storia di un attentato, uno dei continui in città, uno di ogni giorno, uno letale come sempre. Un attentato svoltosi sotto gli occhi della voce, un attentato diverso. Ho ascoltato in silenzio, senza domande, ho immaginato, partecipato, poi la mente si è spostata sulle sacche fortificatesi dei taliban e sui plausi d'occidente circa il ritiro "vittorioso" delle truppe Isaf, della Nato, del Corpo dei Marines che, a una settimana dal "glorioso" rientro, ha deciso di tornare in terra afghana, "per la sicurezza", come è stato detto se pur non ufficialmente, non ancora. 

Stamattina la linea telefonica non si è interrotta. Abbiamo parlato in due, ascoltato in tre, forse più, ma è cosa che non interessa né me né la voce da Kabul. E' consuetudine, noiosa, annosa, consuetudine. In questo ménage a troi o forse più, abbiamo parlato anche d'altro, abbiamo parlato di noi, come nulla fosse accaduto, nulla accadesse, in oriente come in occidente. Abbiamo parlato fingendo l'assenza delménage finché alla fine la voce ha ripreso l'inizio: é la dissacrazione che deve capire l'occidente, il rispetto dei valori umani, dei simboli sacri, è questo... lo dirai? riporterai questa voce da Kabul? Sospiro un amaro respiro, lo ingoio: sì, lo farò!

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