Calunnie e doppiopetto blu

Prigioniero della disperazione

Il soliloquio di Peter, agli arresti domiciliari l'incubo della sua non-anima (Cap.24)

di  

Prigioniero della disperazione

Ho iniziato a correre come se fossi su un tapis roulant in non-stop per far passare il dolore che avevo dentro, e ad ogni passo l’ho lasciato un po’ più indietro; quel peso non mi lasciava respirare, come un cappio al collo.

Il cielo era coperto e freddo e le mie mani sanguinavano consumate dal gelo, gli alberi erano nudi delle foglie e l'erba era gialla come se fosse stata bruciata; il peggior inverno della mia tristezza.

Non sapevo dove andare, sapevo solo che non riuscivo a smettere, perché nel momento in cui lo facevo riprendevo coscienza del mio dolore.

Che sofferenza avere un problema terribile e non sapere dove e come trovarne la soluzione, dove ottenere delle risposte.

Guardo il cielo sperando di scorgere un segnale o in attesa di un pensiero positivo che,  rapidamente, trasformi questo stato d’animo in qualcosa di sopportabile, ma allo stesso tempo ho paura di smettere di correre, di tornare con la mente alla mia disperazione più profonda. Mi sento stanco, ma questo non allevia il dolore.

Vorrei trovare qualcosa che mi facesse perdere la coscienza per tagliarmi fuori dalla realtà.

Poi penso a qualcosa di più importante e risolutivo, di pace e abbandono totale.

Un colpo di fortuna sarebbe dimenticare il mio passato e avere la possibilità di ricominciare da zero ... ma dovrei dimenticare anche i momenti felici e le persone che mi amavano…

Sì, ho avuto tanti momenti felici e tante persone che mi amavano. Ma mi amavano?

Passo accanto ad alcuni uomini che sorridono e mi chiedo perché lo facciano, perché si mostrino così anche vicini a me, non hanno capito che sono la tristezza, che imputridisce tutto ciò che osserva?

Ad un certo punto, forse, si sono accorti che ho grandi problemi di esistenza, ma io esisto? Vivere, soffrire, disperarsi, forse godere del mio star male non è già essere morti?

Mi vergogno di ammettere che ho pensato a soluzioni drastiche, la mia mente era orgogliosa ora è solo un scura nube senza lacrime. Cerco da qualche parte una soluzione, ma non riesco a trovarla. Non la troverò mai.

Continuo a correre, la mia energia sta cominciando a scarseggiare, non riesco a smettere, non posso! Non voglio!

Questa incessante corsa mi fa sobbalzare: ho dimenticato perché correvo senza fermarmi, senza pausa.

Mi sento abbandonato, tutto lo sguardo indifferente degli altri è verso il mio dolore martellante ... Gli altri, anzi, nessuno sa soffrire come me. 

Ad un certo punto qualcuno noterà che piango? 

Mi fermo, quasi in attesa di un abbraccio che non arriverà mai, ma mi rendo conto che la soluzione non è nella gente, è in me, devo trovare una spiegazione...

Mi chiedo, improvvisamente: si può pensare al futuro, quando si vive così?

L'inevitabile arriva, mi fermo e così facendo mi accorgo che il dolore è ancora lì e ora devo prendere la via del ritorno, stanco e dolorante in tutto il corpo. Alla fine mi desto e torno alla realtà ...

Nella mia cella, agli arresti domiciliari.

Noto che il sole è sorto.

Presto, però, arriva la sera con i suoi terribili spettri dai volti conosciuti.

Una notte in più, mentre mi nascondo dietro la luce della luna.

Mi rinchiudo al buio, con compagni i miei sospiri e le mie delusioni. Ho bisogno di cercare e ritrovare quel relitto d’anima, di trovare in questa mia casa l’amore che l’avvolgeva prima delle tenebre.
Oh mia anima senza pietà!  Sì, non hai compassione di me, non farmi vittima del tuo gioco, perché stasera, come ogni sera, mi sento perso e tu sei così lontana. 
Stanotte non ho la forza neppure di pregare, di invocare la luce divina nelle ombre del mio tormento. Tu sei diventata la mia non-anima!

Ti cerco e non ti trovo, ti chiamo e tu non sei accanto a me; ho solo una vaga speranza, che tu un giorno torni svegliata dal mio grido desolato.

Perdonami per averti perso, se lo puoi perdonami.

Quel giorno sono morto dentro, poi ho corso, sognato, ma tutto nei miei pensieri; il tuo addio mi è stato fatale, come il commiato di un grande amore, il tutto è diventato
ineffabile. 
So che ho perso e mi sento colpevole per la mia non reazione, perché mi rendo conto di quanto ti abbia usata e quanto mi sei stata d’aiuto.

Perché sì, quando io ti possedevo ero un’altra persona, adesso questa ansia diventa un pugnale nelle mie vene, perché ti imploro, provo a riaprire quella porta dietro la quale tu non ci sei mai. 

Eppure sai della mia angoscia, delle mie non colpe; dove sei… 
Oh me disperato! Non devo cadere nella follia, sapendo che ho perso, e gli altri godono di questa mia sconfitta.

 

 

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    3 commenti per questo articolo

  • Inserito da carlo il 21/02/2012 09:26:24

    Bellissimo e poetico. Sei per caso gay, Massimo?

  • Inserito da edy-no il 19/02/2012 13:07:55

    Leggo e rileggo tutto ciò che scrivi, e ogni volta mi sento più tua. Mio Massimo, mio ...

  • Inserito da edy-no il 18/02/2012 09:42:16

    Svegliarsi con una tua composizione è un po' svegliarsi con te accanto. Mi affascini

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