Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
span style="text-align: justify;">Diciamocelo francamente, Matteo Primo di Toscana, da Rignano sull’Arno, ha compiuto un vero capolavoro! Aveva assicurato agli increduli che alla quarta votazione per il Quirinale sarebbe stato eletto il “nuovo” presidente della Repubblica, così è avvenuto.
Aveva solennemente affermato che il nome proposto dal PD sarebbe stato uno, secco e senza infingimenti, così è stato. Aveva inoltre giurato a se stesso che sul colle sarebbe salito un uomo che non gli avrebbe fatto ombra, non ne avrebbe condizionato le mosse, più o meno spregiudicate, soprattutto non avrebbe messo bocca su future, eventuali compagini governative di stretta obbedienza renziana, come invece era avvenuto sotto la presidenza Napolitano, ricordate il tira e molla per la nomina dei ministri, in particolare quello dell’economia? Ebbene così sarà, ci possiamo scommettere.
Mattarella, ovvero l’uomo in grigio, ex seguace di De Mita, ministro democristiano nei governi Goria, Andreotti e di De Mita stesso, che ha dichiarato di non conoscere neppure Matteo, grazie a lui è assurto alla carica più alta dello stato. Applausi scroscianti, felicitazioni di prammatica, qualche lacrimuccia di circostanza e soprattutto, nel fatidico giorno dell’elezione, il fotogramma del ritratto di famiglia in un interno, l’aula di Montecitorio, che quanto ad autoreferenzialità brilla davvero di luce propria.
Suona triste come una campana a morto lo sventolio della prima pagina del Manifesto da parte dei leghisti, dove stava scritto “Non moriremo democristiani”. Nel frattempo Matteo Primo si gode il successo: il suo PD ha tenuto, la minoranza del suo partito si è dimostrata priva di una qualunque strategia politica appena credibile e, udite, udite, i più soddisfatti fra tutti del risultato presidenziale sono stati i parlamentari ex-post o forse ancora comunisti di SEL, ansiosi come mai di votare “convintamente”, parola di Niky Vendola, per un democristiano.
Che si tratti di una riedizione sotto mentite spoglie del compromesso storico? Oppure più prosaicamente della solita storia all’italiana: metti in pista un democristiano di sinistra e io comunista te lo sponsorizzo come si deve, è accaduto nella prima repubblica, continua, ahimè, a capitare ancora oggi.
Misteri buffi che solo un esperto alchimista può forse spiegare. Dunque il rito quirinalizio si è consumato e gli scenari che si aprono, con buona pace di chi cerca lo scoop ad ogni costo, vedi Vespa e compagnia balbettante, non cambieranno per nulla.
Cosa potrebbe ad esempio il povero Alfano, costretto a un tragicomico dietrofront allorquando gli è stato sussurrato che il ministro degli interni non può non votare il capo dello stato in pectore e la poltrona di del Viminale ha cominciato a traballare? E Berlusconi? Alle prese con i vari pierini di Forza Italia stanchi del filorenzismo del capo e pronti a voltargli le spalle?
No stiamone certi, nessuno farà saltare il tavolo delle cosiddette riforme, nessuno si azzarderà ad andar dritto verso elezioni anticipate col rischio di essere cancellato. Ha ragione Cacciari, se si votasse ora Renzi prenderebbe il 60%, magari un po’ meno ma comunque… Insomma Matteo Primo da Rignano sull’Arno può dormire sonni tranquilli e tirare avanti senza troppi patemi, certo di avere saldamente il pallino in mano e ancora più certo che nani e ballerine non potranno sicuramente alzare la testa più di quanto, per l’appunto, possa fare un nano!
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