Editoriale

Tre speranze

Ma in realtà è una sola, che l'Italia diventi un paese normale

Vincenzo Pacifici

di Vincenzo Pacifici

Professore ordinario di Storia Contemporanea Roma La Sapiena

i fronte alla situazione politica di questi giorni è legittimo un triplice auspicio. Innanzitutto che alla prova dei fatti, al momento dei passaggi concreti e decisivi, al di fuori e al di sopra delle fumosità verbali o delle passeggiate esibizionistiche e retoriche (vedi il “mezzo governo arrivato a Milano per salire sul carro” dell’Expo, inizialmente rifiutato) l’”armata Brancaleone” governativa, irrobustita da donne ed uomini “responsabili”, si riveli con il personaggio di punta, una meteora fragile inconsistente, e non, come per troppo è stato fatto credere e si è creduto, una luminosa e fattiva stella polare.

La seconda speranza è che Berlusconi, dopo l’amara lezione subita, da più parti ampiamente prevista, faccia decisamente sul serio, rianimando e rilanciando un’opposizione serie, puntuale, alternativa, già rappresentata, anche se con numeri ridotti alla Camera ed al Senato, da FdI e dalla Lega.

Da qualche giorno è entrato tra i collaboratori del «Giornale» Piero Ostellino, con il quale si può essere largamente concordi nella denunzia delle assurdità del renzismo ma non, come vedremo, con la retorica dei pregi del liberismo. Per la prestigiosa penna  “Le pallide speranze che l’Italia diventi una democrazia compiuta, analoga alla grandi democrazie liberali dell’Occidente, si sono spente con 1)il progressivo esaurirsi del bipolarismo centrodestra – centrosinistra, preludio della nascita di un bipartitismo perfetto fra una destra moderata di ispirazione tendenzialmente liberale e una sinistra moderata a ispirazione tendenzialmente socialista; 2)la nascita del governo Renzi, che è, poi, il Partito unico nazionale, un ircocervo frutto della conciliazione fra due inconciliabili concezioni della politica imposta dalle circostanze”. Dopo averci, in termini diversi, rammentato le parole di Isocrate sul “gran numero delle leggi segno di cattiva amministrazione dello Stato”, auspica l’applicazione del principio della delegiferazione e della deregolamentazione, rimaste inapplicate, perché il governo “è prigioniero, oltre che delle proprie ambizioni di potere, delle corporazioni di cui è figlio e che infestano il Paese”. Solo un interrogativo: ma “lo spontaneismo sociale ed economico”, prospettato da Ostellino,  in Italia non potrebbe divenire una forma di cannibalismo reciproco, la realizzazione del proverbio, tratto dall’ “Asinaria” di Platuto, “homo homini lupus”?

   Il terzo voto augurale è legato alla manifestazione organizzata da un’associazione di destra, guidata da Isabella Rauti, cui parteciperanno, tra gli altri, Ignazio Larussa e Francesco Storace. A quella che avrebbe potuto essere la destra, negli scorsi anni, nel periodo della partecipazione ai governi Berlusconi, inerte, passiva, inconcludente, insensibile, non in quelli più lontani, in cui operavano nell’ambito culturale l’indimenticabile Giovanni Volpe e le “edizioni del Borghese”, ci riporta una nota di Marcello Veneziani, tanto amara quanto sacrosanta, intitolata: “L’egemonia di sinistra ha creato un deserto e l’ha chiamato cultura”. Altrettanto centrato è l’articolo di Stenio Solinas, “Com’è oggi Caporetto dove vinse la retorica. Viaggio nella cittadina slovena: un luogo della storia, del linguaggio e dell’identità”. In quella drammatica vicenda – fa osservare ottimamente  Solinas – si ritrova, in vista delle celebrazioni per il centenario della “Grande guerra”, l’ennesima prova dell’autolesionismo italiano, che ignora, che dimentica, che sorvola i disastri militari subitì dai francesi, dagli inglesi e dai russi, e trascura il vizio inveterato dell’esercito e della marina, “la superbia autoritaria e la pigrizia intellettuale delle alte gerarchie militari”. 

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