Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
span style="background-color: rgba(255, 255, 255, 0);">A’ la guerre comme à la guerre : accontentiamoci di quel che passa il convento in questa strana guerra-non guerra con cui, volenti o nolenti, dovremo, sempre di più, imparare a fare i conti.
L’ISIS è alle porte o forse è già qui e non sarà certamente qualche gazzella della polizia o le rassicuranti dichiarazioni dell’Alfano di turno a risolvere il problema. La questione è purtroppo complicata. Investe le nostre capacità militari ed insieme quelle negoziali, riguarda la geopolitica e – più in generale – la tenuta “culturale” del nostro “sistema”.
I settant’anni di pace ci hanno tolto – come ha osservato Galli della Loggia – la capacità di pensare alla guerra. Diciamo che – a differenza di quel scriveva Ardengo Soffici, che lo considerava connaturato alla natura dell’uomo – l’istinto bellico si è perso, ma non è detto che prima o poi non riemerga, sull’onda, tutt’altro che metaforica, di un attacco esterno.
“Non siamo crociati” dice il ministro Paolo Gentiloni, cercando di raffreddare gli animi – come se poi fossimo stati noi europei a riscaldarli. D’accordo, parlare di Crociate è un po’ grossa, anche perché per fare le Crociate bisogna avere il physique du rôle e gli italiani – al momento - non sembra che lo abbiano.
C’è però un’altra “Crociata” che prima o poi dovremo imparare a fare: è quella verso noi stessi, verso le nostre debolezze antropologiche, verso i nostri tentennamenti civili, verso il nostro barcamenarsi etico. Guardiamoci allo specchio: ancor prima di quelle materiali, abbiamo le “armi culturali” per contrastare l’ISIS ? Siamo dotati dell’ arsenale politico ed ideale necessario per affrontare l’attacco esterno ?
Settant’anni di pace non hanno aiutato, convincendoci che l’istinto alla guerra – evocato da Soffici – apparteneva al più brutale primitivismo, che parlare di Crociate era aberrante, che la guerra era “da ripudiare” a prescindere, anche là dove sono i gioco le ragioni stesse del nostro esistere civile.
Ora non possiamo più fare finta di niente. Ad imporci una nuova consapevolezza sono gli uomini incappucciati che maramaldeggiano a qualche centinaia di miglia dalle nostre coste meridionali.
Certamente potremo proporre di “metterci intorno ad un tavolo” per discutere e fare discutere, potremo presidiare gli obiettivi sensibili interni o essere parte di una missione internazionale d’intervento. Resta il fatto che comunque dovremo, prima di tutto, guardarci allo specchio e domandarci se siamo disposti a reintrodurre nel nostro lessico collettivo principi quali il senso del sacrificio, l’etica dell’onore, la fedeltà alla parola data, l’appartenenza patriottica.
Ancor prima che a colpi di Kalasnikov, su questi crinali ci sfida l’integralismo islamico, invitandoci a dare risposte coerenti alla nostra scelta di civiltà. La “salvezza” dipende tutta dalla nostra capacità di risposta a questa sfida.
Non possiamo nn dirci conservatori, e allora attenti con la santificazione della tecnologia
Quel che la Corte Suprema non ha considerando riguardo al divorzio
Perché la destra sta sparendo dall'agone politico
Mettete la museruola ai genitori incoscienti
Se le donne vincono quando in politica i migliori rinunciano