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Il vivaio delle arti

Venezia tiene i dotti in Padova e Firenze li tiene in Pisa

... che sullo stendardo dei suoi scritti reca il motto Proxime ad antiquos, a suo modo ancora adeguato ad un genio estraneo ai libri polverosi e dotti

di Piccolo da Chioggia

Venezia tiene i dotti in Padova e Firenze li tiene in Pisa

Statua del Ruzante in Piazza Capitaniato, Padova

Quando Venezia si annette Padova, intorno al 1405, si trova ad ereditare anche la famosa università. L’aspetto singolare è che lungi dall’allettare maestri e scolari dell’ateneo patavino a venire in laguna e ivi fondare uno studio che desse ulteriore lustro alla Dominante, i veneziani lasciano gli stessi nella città euganea.

Quando la Firenze medicea e rinascimentale decide di darsi uno studio universitario sceglie la città di Pisa per istituire cattedre e farvi arrivare professori e studenti. Con un’unica, interessante e strana eccezione: i Medici lasciano che in Firenze sorga solo lo Studio di agraria, che sarà anche la prima università di tale disciplina. Eppure tanto Venezia che Firenze sono due fari europei se non addirittura planetari per ciò che entro di esse è stato intuito, creato, costruito. Fa capolino l’idea che i reggenti fiorentini e veneziani, i quali se non erano di quell’origine imperiale e feudale che brilla nei secoli, di certo erano ormai de facto e non senza ragioni una nobiltà, volessero tenere esterna alle loro luminose rive l’università con il variopinto corteo di professori e alunni. Tenevano invece ben prossimo, e come!, il vivaio delle arti con i maestri e al loro intorno i giovani genî, e altrettanto facevano con le scuole musicali, di danza e di teatro; in laguna accentuate pittura scultura e musica, a Firenze pittura scultura più danza e teatro attraverso quei circoli neoellenici ove rivivevano la poesia e la tragedia antiche. Su entrambe queste rive, dall’architettura della musica e della poesia dottrinale si passava senza soluzione di continuità allo splendore dell’architettura edificata. 

E’ idea assai rudimentale, e con l’aggravante di essere burlesca, ma pare cadere quasi a luogo: quelle classi reggenti erano addentro a conoscenze di un dominio ben più vasto di quello semplicemente razionale ed erudito che nello studio universitario dell’epoca era già prevalente e, pur non sottostimando quest’ultimo dominio per la sua immediata utilità e necessità, tenevano a sé molto più strette le conoscenze del dominio più vasto, facili a rintracciarsi più nel genio artistico, musicale e poetico che non nelle dispute erudite. Per i professori, in fondo, non era poi proprio necessario per svolgere il loro ufficio rimirare ogni dì in Venezia i capolavori di Carpaccio, Bellini, Tullio Lombardo, Palma il Vecchio, o in quel di Firenze Giotto, Filippo Lippi, Botticelli, Paolo Uccello, Michelangelo, oppure, delle due città, le superbe architetture e gli ineguagliabili paesaggi. Ai professori bastavano e bastano le biblioteche e i codici, gli studi e le aule. E poi tanto Padova che Pisa sono anch’esse due bellissime città ricche di storia e di arte. Arte che chiaramente non poteva farsi nelle Università, pure se quella pisana ha belle collezioni di erbari miniati e di disegni antichi e quella patavina ha fatto disegnare a Giò Ponti la classica architettura del Liviano. Ma, di nuovo, a lato di quest’opera ammirabile sulla piazzetta alberata non campeggiano i busti mantellati degli augusti rettori dello Studio padovano, ma sorride dalla sua statua in una specie di burla secolare il buon Ruzzante, che sullo stendardo dei suoi scritti reca il motto Proxime ad antiquos, a suo modo ancora adeguato ad un genio estraneo ai libri polverosi e dotti. 

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