Sulla scuola

​«La scuola è stata seria fino alla tale o talaltra epoca».

In diversi e non pochi casi si ha addirittura l’impressione che certi studi, anche di base, siano ben più difficili oggi, dato lo sviluppo del loro settore, che non molto tempo prima

di Piccolo da Chioggia

​«La scuola è stata seria fino alla tale o talaltra epoca».

“La scuola è stata seria fino alla tale o talaltra epoca”. A volte si sentono constatazioni del genere che hanno certo un fondamento ma questo è modesto e soprattutto è di altro ordine rispetto all’argomento scuola in quanto tale. Se poi queste affermazioni provengono da individualità che proprio per doti innate e studio in proprio hanno mostrato di conquistare una vera capacità d’invenzione, si resta disarmati di fronte a tale luogo comune. Se, per fare un esempio, la scuola da noi era in generale seria, diciamo nel 1938, essa lo era solo perché le sue funzioni erano molto ben definite e delimitate, i maestri erano correttamente selezionati, le materie molto precise, i libri chiari e verificati, gli orari sicuri et cetera. Esattamente come in una scuola parigrado di Witebsk, stessa ora e giorno del medesimo anno, fuso orario a parte. Dove là imperava l’ordine bolscevico e qui le regole dell’era fascista.  Ragione prima del funzionamento era dunque il clima generale di un ordine nella società fondato sulla assoluta disciplina. Sulla qualità dell’insegnamento e/o dello studio il discorso si fa però assai più arduo e complicato. È difficile credere che un professore di biologia o matematica o, più in generale, delle varie altre materie nel 1938 fosse migliore o sapesse di più del collega di settanta anni dopo. O, cambiando la prospettiva, peggiore e sapesse meno. Entrambi si sono abbeverati alla stessa fonte, l’università che è coeva di un ciclo almeno plurisecolare della civilizzazione che persegue e privilegia conoscenze razionali e di altre, intuitive, artistiche o oltre, ne può coltivare in misura necessariamente relativa.  Di conseguenza, è altrettanto difficile pensare che le materie di studio o l’approccio ad esse sia di molto variato: nel 1867, poniamo, il primo corso di analisi matematica in una scuola di ingegneria a Torino o a Zurigo non è più difficile o esteso del medesimo del 1987, caso mai varia un metodo, nell’ottocento piuttosto geometrico, nel secolo successivo pure aritmetico e funzionale. 

In diversi e non pochi casi si ha addirittura l’impressione che certi studi, anche di base, siano ben più difficili oggi, dato lo sviluppo del loro settore, che non molto tempo prima. Ma si tratta sempre e solo di conoscenze razionali e quindi appesantite da quel moto perpetuo di accrescimento che sta in un curioso contrasto con l’essere, il vero moto perpetuo, una cosa impossibile nel mondo fisico.

Una postilla va forse fatta nel caso assai specifico delle lingue classiche e della matematica: qui, in genere, o si comincia molto presto con uno studio estremamente qualificato e, quindi molto selettivo, o risulterà difficilissimo se non impossibile il rifiorire di quella Genialen-Republik che nell’ottocento noverava un Leopardi, uno Spengler, un Nietzsche, un Gauss o un Riemann solo per nominarne alcuni.

Ancora nella puerizia tanto Leopardi che Gauss possedevano le lingue classiche e Gauss era stato addirittura indeciso se dedicarsi completamente alla filologia, fatto che riapparve in nuova veste e molto oltre nel tempo, quando il Tedesco imparò da solo il russo per corrispondere coi matematici della Neva e della Moscovia. Il Recanatese poteva, all’inverso, permettersi di scrivere un saggio non comune sugli errori astronomici degli antichi. A leggere oggi opere come il “Tramonto dell’Occidente” si rimane esterrefatti di fronte alla mole di conoscenze storiche, matematiche, musicali, letterarie e architettoniche dell’Autore che ne ha fatto uso non per divenire un matematico erudito ma quale solida documentazione per edificare un opera di tutt’altro genere. Certo il caso dello Spengler è quanto meno un indice della razionalità dell’organizzazione del sapere e delle biblioteche nella Germania dell’epoca Guglielmina, anche se questo fatto pure necessario non resta decisivo.

Il nucleo della non facile questione risiede forse nella qualificazione e poi nella selezione e disciplina di maestri e allievi e meno sul sistema scolastico o sul tempo cronologico. Per il quale sono importanti alcune fasi temporali come la puerizia ma che non sono per nulla facilmente codificabili. Come nella creazione artistica, nel vero sapere anche se non metafisico vige in fondo più una civiltà dello spazio inteso come apertura a ciò che è in alto, è nobile, è grande, duraturo ed immutabile, che non una civiltà del tempo che finisce per essere in lotta col passato o in affanno con il futuro. E quindi non si deve equivocare: non è che in pieno ottocento l’università o il liceo fossero buoni perché edifici e volumi erano decorati di volute in stile’“Art nouveau”. Il criterio che colà imperava era quasi eguale a quello che impera oggi: il sapere vi si impara dai libri, pratica ve ne è, ora sì ora no, i bravi sono tali spesso solo perché molto diligenti, doti del carattere tanto nell’insegnante che nell’allievo tenute in poco conto nella valutazione complessiva, e quest’ultima saldamente aggiogata al carretto trainato dagli ostinati muli di un’ars docendi gravata dai medesimi difetti delle epoche da cui origina. E, invece, le scuole che allora erano buone, ovvero avevano avuto la fortunata coincidenza di maestri e allievi selezionati dagli studi e dipoi selezionati da sé stessi con un criterio d’interiore nobiltà, completo, indipendente dal tempo e da contingenze di tutti i generi, in molti casi lo sono state anche dopo, né è raro o impossibile che lo siano pure oggi.

Da “Les Beaux Draps”, uno dei tre pamphlet di Céline, leggo e trascrivo le righe seguenti sulla scuola che sembrano istruttive:  

Nous crevons d’être sans légende, sans mystère, sans grandeur. Les cieux nous vomissent. Nous périssons d’arrière boutique.

Il faut un long et terrible effort de la part des maîtres armés du Programme pour tuer l’artiste chez l’enfant. Cela ne va pas tout seul. Les écoles fonctionnent dans ce but, ce sont des lieux de torture pour la parfaite innocence, la joie spontanée, l’étranglement des oiseaux, la fabrication d’un deuil qui suinte déjà de tous les murs, la poisse sociale primitive, l’enduit qui pénètre partout, souffoque, estourbit pour toujours tout gaîté de vivre.   

L’école doit devenir magique ou disparaître, bagnefigé. L’enfance est magique…


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