Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Nomen omen: stesso nome, Matteo, stessa formazione culturale, banale per il Granduca toscano, inconsistente per il conducator lombardo, stessa preparazione politica, prossima per entrambi allo zero assoluto, conoscenza dei problemi nazionali ed internazionali, raccogliticcia o rudimentale dopo lunghe ripetizioni.
Eppure il primo continua a promettere riforme prima della scuola, poi quella della Rai, magari retrocedendo dall’uso del dittatoriale decreto legge al parlamentare disegno di legge, certo di non trovare un’opposizione seria, credibile e consistente, furbescamente sapendo che la minoranza, tra litigi, scontri, espulsioni o atti di presunzione (la Meloni in primis) lavora al consolidamento pluridecennale del suo potere.
L’altro, invece, tra scandalucci rosa e scontri all’ultimo sangue, dimostra di possedere come unico obiettivo il potere e come attributo distintivo la banalità delle affermazioni, la superficialità dei propositi e l’inurbanità dei modi e del gergo.
In precedenza si è accennato alla Meloni, che sta rinunziando all’unica possibilità di crescita. Fino ad oggi, seguendo la segnalazione di Storace, non ha dato alcun segno di assenso e di consenso alla manifestazione, l’ultima e conclusiva della serie (troppo) lunga, che si terrà alla fine del mese per cercare il rilancio della Destra globale e non parcellizzata con FdI. Alla Meloni sfugge che il successo di Venezia ed i risultati elettorali sono dovuti all’uso del simbolo, calpestato il quale moltissimi cittadini si rifugeranno nell’astensionismo e non certo nel voto ad un minipartitoautoemarginatosi o asservito ai secessionisti lombardi.
Sull’ultima riforma, quella del Senato, osservazioni serie, calzanti ed ignorate sullo strapotere del governo sono state da Michele Ainis. L’editorialista del “Corriere delaSera” ha notato che “i guai si addensano quando dai principi filosofici alle regole concrete. Così, la riforma elenca 22 categorie di leggi bicamerali. Sulle altre il Senato può intervenire su richiesta d’un terzo dei suoi membri, e in seguito approvare modifiche che la Camera può disattendere a maggioranza semplice. […] E dunque non è vero che semplifichi la vita del nostro Parlamento. Però semplifica fin troppo la vita del governo, l’unico pugile che resta davvero in piedi sul ring delle istituzioni. Perché insieme al Parlamento barcolla il capo dello Stato: con un esecutivo stabile, perderà il suo ruolo di commissario delle crisi di governo, nonché – di fatto – il potere di decidere l’interruzione anticipata della legislatura”. Ainis conclude con una richiesta, che l’opposizione non di sinistra potrebbe far propria, se non fosse impegnata nel distruggersi, nell’annullarsi e nell’ignorarsi :”Vorremmo rafforzare il capo dello Stato, magari concedendogli il potere di appellarsi a un referendum, quando ravvisi in una legge o in un decreto pericoli per la democrazia (succede in Francia ). E in conclusione vorremmo che l’elettore non fosse trattato come un ospite nella casa delle istituzioni. Ma al referendum prossimo venturo l’ospite potrà solo decidere se entrarvi oppure uscirvi, senza spostare nemmeno un soprammobile. Intanto sta sull’uscio, guardando dal buco della serratura”.
Capito, Meloni il rischio della dittatura strisciante, che non si batte con i risibili “Patti del Nazareno? Si distacchi veramente ed autenticamente da Berlusconi, trovando o meglio ritrovando i suoi storici compagni di strada.
Polito dal canto suo, ha avvertito – ed anche i sordi più acuti dovrebbero sentire – “che si sta costruendo, mettendo insieme la riforma del Senato e quella della legge elettorale, il rischio più elevato non è tanto la dittatura della maggioranza ma l’irrilevanza della minoranza che rischia di essere frantumata, divisa, litigiosa, una palude pronta a ogni trasformismo. Proprio perché si va verso un governo più forte e un Parlamento più debole, è di vitale importanza per la nostra democrazia che la competizione resti vera, che nelle urne ci sia una reale alternativa, che esista un centrodestra electable, cioè credibile come possibile governo”. Nuova stessa domanda: Capito? Con Salvini leader non è certamente addirittura ipotizzabile.
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