Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Y.M.C.A. dei Village People
Ogni elemento in natura ha il proprio antagonista, nella stessa forma in cui, noi umani, abbiamo un tema melodico che ci tocca ascoltare con regolarità quasi ossessiva, una canzone che ci porta spesso a desiderare di sbattere contro la parete il dispositivo musicale che la riproduce o che ci istiga, in second’ordine, a dar fuoco al locale ove ci troviamo.
Anche nella redazione di Totalità, contiamo alcuni dischi che definiamo odiosi e che ci piacerebbe condividere con voi lettori affinché, nell’eventualità ci dovessimo ritrovare assieme in un futuro vernissage, possiamo convivere in armonia prima di tirare fuori la motosega dal garage e terminare la riunione o festa che sia.
Ecco la terribile lista.
Englishman in New York, di Sting. La tambureggiante melodia che accompagna il pezzo è un martello pneumatico in pieno timpano: ♪♫ ♫ I’m an alien, I’m an legal. Una musica demolitrice, con una specie di riff di sassofono irritante fino alla nausea. Inoltre all’epoca del disco, il cantante era inguardabile, con la sua chioma Pantene con riga in mezzo.
Di quel periodo e spirito è Another day in Paradise di Phil Collins, una canzone che mi disturba molto perché completamente assonante; il ♩♫♬♪ tin-tirinti-tiriririn è come una nota stonata che provoca molta ansia, come se qualcuno stesse frugando nei cassetti durante la siesta.
Y.M.C.A., dei Village People. Malgrado sia un inno allegro e ginnico, l’odio verso questa canzone deriva dalla mia esperienza con la professoressa di matematica (sempre quella) la quale, mentre scorreva con l’indice il registro di classe per interrogare qualcuno canticchiava la suddetta melodia, e quel dito malefico si fermava, frequentemente, sul mio cognome. E’ stato ridicolamente il vero, mio servizio militare, non quello che feci anni dopo nella Caserma di Pistoia, e non credo che certuni miei compagni di classe, che passarono per quella caduca esperienza, piaccia loro ricordare tale motivetto.
Like a Rolling Stone, di Bob Dylan. Guarda, fantastico Bob, se avessi composto la migliore canzone della storia in terza persona forse non avrei avuto alcun problema con te. Ma averti negli auricolari bramendo ♪♩♪How does it feel to be on your own like a complete unknown?, mi ha fatto sempre sentire male. Non hai perdonato nemmeno un momento di magrezza della mia ex in taxi, di buon mattino, cedendo momentaneamente all'etilica tentazione di ricordarle l’amara realtà... No, tu hai, criminalmente, sussurrato dalla radio: ♪♫♩ Now you don't talk so loud. Now you don't seem so proud. Può darsi che sia un egocentrico troppo sensibile, ma non voglio darti l'opportunità di tornare a vantarti delle disgrazie altrui. Ed ora, dimmi: ♪♬♪ How does it feel?
Imagine, di John Lennon. Sarà una canzona pacifista, ma ogni volta che la sento mi viene voglia di invadere la Gran Bretagna. Mi è sempre apparsa superficiale, sempliciotta, sentimentaloide. È l'inno dei Teletubbies. È la canzone perfetta per un annuncio di una nuova marca di latte di soia: deprimente e falsa. Guardate, mi sto già arrabbiando…
Tubthumping, Chumbawamba. Perché? Per tutto!
Il nome del gruppo: Chumbawanba? Hakuna matata? Sul serio? Vi considerate un gruppo di anarco-punk e vi mettete quel nome? Incominciamo molto male.
Il titolo della canzone: Tubthumping, che significa in slang [going out and singing and having drinks after protesting]. Sul serio questa è una canzone di protesta? Perché per brutta che sia, l'avete trasformata in un inno per mainstreamersubriachi.
Il look del gruppo. Non potete vestirvi al Placebo con gilet di cuoio e capelli decolorati e cantare questa lagna. Un vero mantra della mediocrità.
The Final Countdown, Europe. Perché sin dall’inizio della canzone, quel detestabile ♩♬♫ tin tin tin tinooo iii sveglia le bestie sudate dall’odore di whiskey in qualunque bar alle cinque della mattina. Perché tutto il mondo sa fingere di saper suonare una chitarra elettrica muovendo le dita e tentennando la testona bionda. Perché si è trasformata in simbolo e icona degli avvinazzati. Un ingorgo di canzone. Da ascoltare solo nei grandi magazzini. Per tutto questo dovrebbe essere fatta sparire.
Ebony and Ivory, di Paul McCartney e Steve Wonder. Che l'unione di due menti geniali come quelle di McCartney e Wonder abbiano dato come frutto questa trivialità di canzone, tira fuori di me l’Hulk che porto dentro.
I Will Survive, di Gloria Gaynor. Ovviamente rispetto molto coloro che l'hanno proclamata l’inno della diversità, della riaffermazione della libertà individuale di ognuno e della porporina sulla testa, ma il suo terrificante ritornello con gli ultimi accordi ♩♫♬♪♩lo-lo-lolo-lo-lo-lo-lo-lo-lo-lo-lo-lolo,non si può proprio sentire. Una melodia sterile e buona solo per quei baracconi chiamate discoteche.
We're The Champions', dei Queen. Il problema è che no, nessuno che la canta è in realtà un vincitore. Forse hai vinto una partita di calcetto a 5, puoi essere il re del bowling e del biliardino. Chissà, perfino la tua squadra del cuore può aver vinto un Mondiale di calcio. Ma tu, amico, proprio tu, non sei un campione se stai cantando questa canzone. In realtà, lasciami dire che sei un bel perdente. Se hai vinto, salta, urla, ubriacati, cammina sul tavolo e balla la conga; ma intonare contemporaneamente questa canzone mentre abbracci la gente e vi muovete al passo di danza, naturalmente non è celebrare una vittoria. E’ l’estrema esaltazione del nulla.
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