Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
tto minuti di follia, di terrore, di intento criminoso, di disperazione? Chissà. Forse non sapremo mai la verità di una vita che tutta si compendia in quegli 8 minuti determinando l'esaurirsi di altre 149.
Inutile chiedersi perché, la risposta ha le stesse possibilità di essere esaustiva quante ne ha quella sul perché a qualcuno venga il cancro e a qualcuno no anche se i parametri di partenza sono gli stessi e magari quelli del malato apparentemente più favorevoli alla immunità.
Già perché quel che è andato delineandosi dopo l'ascolto dei dati contenuti nella scatola nera attribuisce senza dubbio la responsabilità al giovane copilota, un ragazzo (sì certo, a 28 anni si è già un uomo, ma infondo ancora un ragazzo, soprattutto nei nostri strani tempi che da una parte coccolano i giovani all'inverosimile, dall'altra li caricano di responsabilità che nessuno ha insegnato loro a sopportare e gestire)
Un ragazzo con la passione per il volo, dicono, poi qualcuno, perché il giornalismo è anche questo trasforma la passione in "ossessione", e dall'ossessione alla follia il passo non è poi così lungo, e allora leggerete di piloti invasati, la categoria diventerà la sentina di tutte le patologie psicologiche. Per qualcuno saranno i Rambo dell'aria, per altri top gun mancati e frustrati, e via con la fantasia colpevolizzatrice. Già perché nel nostro mondo dominato dall'homo aeconomicus vuole che il colpevole di un disastro sia riconosciuto nell'ambito della categoria più debole, meno economicamente potente.
Fra la compagnia aerea viva e un pilota morto a chi credete verrà imputata la totale assoluta è imprevedibile responsabilità?
Eppure se le cose sono andate come sembra, se quel ventottenne soffriva di un malessere psichico che lo ha portato alla strage, siamo sicuri che lui sia il solo responsabile, o meglio il maggiore responsabile?
E non si tratta solo di rinfacciare alla compagnia, ai medici, al sistema di tutela delle capacità dei piloti di non aver vigilato abbastanza o correttamente. Certo questo conta, ma non quanto ancora sia misconosciuta la gravità e l'importanza della malattia psichica nel sistema capitalista che si avvia, sull'esempio dell'America, a misconoscere e a perseguire come una colpa una patologia invalidante, si chiami cancro o influenza.
In nome del profitto il malato in generale ha sempre meno tutele, si sopporta che si curi, ma fino ad un certo punto, poi se la malattia è lunga e grave si tolga di torno, lasci il posto a qualcuno di sano! Non saprà come sopravvivere? Non potrà in quelle condizioni trovare un altro lavoro? La sua malattia in presenza della perdita del lavoro peggiorerà perché egli non sarà in grado di opporre energie nervose al progredire del male, si deprimerà e preferirà morire? Può darsi ma chi se ne frega, un'azienda non è mica un ente di beneficienza, quindi se non può essere produttivo per un tempo stimato, non si da chi, in X giorni o mesi, vada al diavolo.
Purtroppo nel caso della malattia psichica le cose sono ancora peggiori, perché essa è sentita come una colpa sociale,stigma da portarsi dietro tutta la vita, più invalidante della mancanza , che so, di un arto. Tutti hanno pietà per un amputato, nessuno ne ha per chi cade in depressione. Chi soffre di depressione nella sua forma lieve o profonda e devastante nasconde il proprio stato, lo nega addirittura, riesce il più delle volte a confondere la signori del medico generico. anche perché sa che non ci sarà pietà compassione, conforto, ma nel migliore dei casi fastidio, noia, insofferenza.
D'altra parte la malattia psichica viene utilizzata a sproposito dai soliti furbi che sanno porter esibire un certificato con una diagnosi che non ha controprova in parametri scientifici.
È vero, purtroppo è vero, ma secondo voi è meglio un furbetto che ruba lo stipendio per un po'di mesi? o un malato grave come il copilota tedesco al lavoro con quel che ne consegue? Certo sarebbe meglio non dover scegliere, ma come nel caso dell'innocente in galera o del colpevole fuori, la società che voglia dirsi civile sceglie la seconda ipotesi, quella che si fonda solo sul profitto lascia in galera l'innocente. Ovvero costringe, non direttamente, mai assumendosi la responsabilità di una scelta, il malato a lavorare.
Così quando va bene abbiamo picchi di diffusione di influenza demenziali perché la gente va a lavorare con la febbre, quando va male abbiamo una strage aerea come quella sulle Alpi francesi.
149 morti innocenti in ogni caso non saranno sufficienti a cambiare il segno di questa società dove la carità è morta, dove la malattia psichica non viene ancora riconosciuta e affrontata nella sua vera dimensione, senza demonizzarla come una peste inguaribile né sottovalutarla come un escamotage alla pratica della pigrizia.
149 morti innocenti non saranno sufficienti a cambiare la mentalità di chi si preoccupa del disagio infantile per tutelare il bambino da chissà quale trauma provocato da un sano ceffone educativo, ma bolla come matto, inaffidabile, ecc. ecc. chi abbia una patologia psichica, costringendo quel poveretto a nascondersi, a non dichiarare il suo malessere, fino a quando succede l'irreparabile.
Non è questo il mondo che ci piace, non è questo il mondo che vorremmo, ma è questo il mondo contro cui nessuno si ribella, perché i soldi vincono su tutto.
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