Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
C’è stato un periodo nel quale le tue occhiaie avevano un altro colore.
Era la stessa tonalità delle luci delle biblioteche.
Allora ci scherzavi su e, ridendo, dicevi che tutto era dovuto all’erosione di alcune lampade che producevano lo stesso effetto di una cabina di raggi uva.
Apparivi come il genuino studente abbronzato, sviluppando questa specie di melanina notti dopo notti, grazie anche alle avvinazzate bevande energetiche.
Sapevi, nonostante tutto, che il bersaglio nucleare della tua pelle, come le tue occhiaie, sarebbero state cose passeggere.
Sarebbero sparite via, con l'ultimo “ E’ finito il tempo. Consegnate il compito di matematica”, della scuola in questione.
E, allora, tutta l'estate davanti al sole ad abbrustolirsi, almeno fino a quando tornavi a studiare in quell’odioso mese di settembre.
Le occhiaie di un lavoratore hanno, molte volte, il colore della routine.
Ho fatto il Liceo Scientifico, un enorme casermone con un’innumerevole spreco di massa grigia e bianca, distribuita in modo labirintico che mi ha ospitato, mio malgrado, fino al quinto anno.
Nei suoi tunnel segreti si è sviluppata la mia allergia all’aritmetica e ad ogni cosa che ti obbliga a far di conto.
In quei tempi aveva un'aria ministeriale e sembrava seguire, intrappolate nel tempo, figure lussureggianti che apparivano dalle finestre delle aule, come felici pitture impressioniste, mentre noi, poveri scalda-sedie a tradimento, guardavamo continuamente l’orologio appena sopra la porta.
Noi significa noi sette-otto ragazzotti dalle menti vivaci, ma dalle spalle tonde che osannavamo solo la campanella della ricreazione e quella dell’uscita.
Insomma, per molti la matematica era ogni giorno qualcosa di nuovo, così come l’amore. Poiché tra queste mura era veramente possibile innamorarsi ogni giorno.
Non vi era certo mancanza di reciprocità o intimità; bastava, infatti, uno sguardo in biblioteca o un incontro casuale nel corridoio che portava ai bagni.
Così si accumulavano i vari “ …azz.. dovevo chiederle il numero” o i “ …comunque da domani sarò qui alla stessa ora”.
Nella maggior parte dei casi la persona in questione, il giorno dopo, era già dimenticata e sostituita da una nuova “papabile”, fino a quando non incontravi colei la cui immagine entrava a far parte della lista formale delle frecce della tua vita.
Al liceo c’era sempre qualcosa da fare, almeno per noi ( i soliti sette-otto), meno che studiare. Anche se questo qualcosa da fare, paradossalmente, era non fare nulla. Forse è questo che in età adulta ci manca. Il potere scegliere liberamente di non fare niente per un'ora, varie ore, giorni, fare forca nel bagno della scuola, darsi malato il giorno prima del compito di matematica o giustificarsi dicendo che era morto uno dei tuoi parenti.
Del tuo diploma ricordi quel miscuglio tra inquietudine ed eccitazione, come quando lasci la tua automobile nuova tutta la notte in un spiazzo e sai che può finire in una demolizione.
Mentre ci fotografavamo e ci auguravamo le migliori cose, sapevamo che tutto sarebbe cambiato.
Avevamo smesso di essere topi di biblioteca, eravamo stai congedati
e volevamo mangiare il mondo, gonfiati come otri da propositi e speranze.
Sebbene non ci fossero certezze già pianificate.
Si sarebbero aperti anni di domande sul futuro.
Ma con il Liceo succede la stessa cosa che con quasi tutto, i buoni ricordi vengono esagerati oltremodo. La nostra vita non è peggiore ora che in quegli anni, è solo differente, forse perfino meglio.
Benché, quando torna a suonare la tua sveglia alle sette di mattina, ti senti come un personaggio di Almodóvar, e ti piacerebbe viaggiare giustamente nel tempo proprio in quell'istante, in quel banco, con l’Almanacco Panini nascosto in cartella, col sole che rimbalza nel tuo viso, con quella mosca che si posa in prossimità della tua mano, ma che invidi per la sua libertà, criticando quel professore che ti fece comprare il libro di storia perché lo fregavi sempre a quella tonta del posto davanti… mentre vedi la tua vita passare.
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