Editoriale

Verso una destra 2.0?

Bisogna dare atto a Francesco Storace di essere stato non solo molto chiaro, ma anche estremamente spregiudicato nel lanciare, con l’intervista a “il Giornale”, un’importante “assist” politico a Giorgia Meloni

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

isogna dare atto a Francesco Storace di essere stato non solo molto chiaro, ma anche estremamente spregiudicato  nel lanciare, con l’intervista a “il Giornale”, un’importante “assist” politico a Giorgia Meloni. Lui, il radicale, l’intransigente, il rinoceronte della destra, pronto a caricare a testa bassa, nel nome dell’idealità dimenticata, ha confermato, ancora una volta, la sua capacità tattica e strategica, invitando, in vista delle regionali,  all’appoggio di Fratelli d’Italia, primo passo per la ricostruzione di un più ampio ed aggregante progetto politico “a destra”.

Storace non è nuovo a queste accelerazioni. Fu Storace – vale la pena ricordarlo – a lanciare, nell’aprile 1993, sul “Secolo d’Italia”, l’idea di una nuova destra politica, in grado di allargare i tradizionali confini del Msi, realizzando   "un' alleanza nazionale per la Repubblica presidenziale" per "partecipare alla costruzione dell' Italia nuova" rinunciando alle vecchie appartenenze,  alla "bandierina nobile, ma sterile perché ci regalerebbe altri 40 anni di opposizione".

Scrivere certe cose, allora, non era né facile, né scontato. Così come oggi, non è né facile, né scontato superare le tante chiusure “ad excludendum”, che hanno segnato, nell’ultimo triennio, l’area della destra politica. I vari convegni, le belle parole, i manifesti  zeppi di buone intenzioni, non hanno sortito un grande effetto.  Chiuso ciascuno nei suo piccolo orticello non si è andati  da nessuna parte, limitandosi a  difendere la propria bandierina e la propria personale memoria di ex, ma niente di più.

A Storace bisogna riconoscere di avere lanciato il classico sasso in piccionaia, puntualizzando anche alcune questioni “di metodo” non banali: inutilità delle polemiche “ad uso interno”, necessità di smetterla di puntare su figure da trent’anni in Parlamento, investire sulla serietà e la competenza, rompere con il falso moderatismo.

E poi c’è la necessità del “progetto comune”, che  non significa – aggiungiamo noi -  sciorinare il solito elenco di bei propositi, quanto rendere chiara e concreta una proposta politica  alternativa, che risponda alle domande della gente, che guardi alla realtà del Paese, che sia capace di accendere una speranza nuova. Gli argomenti non mancano, da quelli politici generali, a cominciare da una seria e metodica campagna contro il riformismo costituzionale di marca renziana, per arrivare alla difesa degli interessi economici nazionali, in balia degli attacchi esterni, passando attraverso  le questioni che riguardano il ruolo dell’Italia, al centro del Mediterraneo, il “peso” della burocrazia e delle tasse, la lotta contro il degrado delle città.

Su tutto però c’è da ricostruire il filo interrotto della serietà e della coerenza. E quindi di una classe dirigente che punti veramente sulla discontinuità e che lavori per favorire il ricambio. A destra non c’è insomma solo bisogno di un partito grande, capace di raccogliere un mondo disperso, ma di un grande partito, forte delle idee e delle idealità che storicamente dovrebbero appartenergli. E soprattutto di una classe dirigente in grado di incarnarli, dimostrando sul campo la propria capacità.

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