Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
ermate, per favore, questa folle valanga anglofona”, scrive giustamente un noto giornalista culturale del Corriere della Sera, domenica 12 aprile. Paolo Di Stefano si lamenta che nel testo di una Commissione del Ministero della Salute si usi il termine egg sharing (condivisione dell’ovulo) con riferimento alla fecondazione eterologa. Segno del nostro sempiterno provincialismo, nota, e si indigna che per una questione di maternità si usi questo termine (chissà poi se effettivamente esistente in inglese o inventato per l’occasione) quasi fosse quel car sharing o bike sharing (condizione di auto e bicicletta) che si usa (o si pensa di usare perché credo che in pochissimi lo facciano) nelle grandi città.
Protesta sacrosanta, ma Di Stefano lo dovrebbe sapere benissimo dato il mestiere che fa, totalmente inutile a causa della deriva linguistica che l’italiano sta da anni prendendo, in parte se non totalmente a causa della pigrizia mentale, menefreghismo, ottusità e conformismo della classe giornalistica cui egli appartiene. Perché? Perché i giornalisti, come coloro che lanciano, adottano, avallano e diffondono parole, slogan, modi di dire che subito si diffondono e impongono, anche i più errati e cretini, nulla hanno fatto nel corso del tempo per opporsi compatti a tale deriva, quando si sono cominciati a introdurre di punto in bianco certi ”forestierismi”, come egli scrive, del tutto inutili perché prendevano il posto di termini italiani già esistenti,oppure che si potevano tradurre in equivalenti parole italiane.
Infatti, scrive Di Stefano, possiamo pur accettare question time, spread, mouse, ma egg sharing no. Ma perché? Solo perché si riferisce ad una questione delicata come la maternità? Eh no. Se si usano gli altri termini si può benissimo usare anche questo. Se ci si fosse opposti ai precedenti (e tantissimi altri si potrebbero indicare) nemmeno questo sarebbe passato. Se i giornalisti, della carta stampata, della televisione, della rete, si fossero rifiutati di utilizzare, tanto per dirne una, Ministero del Welfare (governo Berlusconi) o Job Act (governo Renzi) invece di ripeterli pappagallescamente avessero parlato e scritto in italiano, un segnale forte si sarebbe dato, i politici avrebbero capito e non ci sarebbe stata l’orgia di stupidi termini inglesi nel testo sulla “Buona Scuola” elaborato dall’attuale Ministero che egli giustamente stigmatizza (ma la ministra Giannini non è quella che vorrebbe che una materia fosse insegnata in inglese sin dalle elementari?).
Quindi si cerca di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Come al solito. Come sempre. Adesso è troppo tardi. Forse Di Stefano non si ricorda che, quando qualcuno denunciava simili esagerazioni, c’era sempre qualche imbecille – giornalista, intellettuale, politico - che se ne usciva ricordando la battaglia contro i “barbarismi” del fascismo. E se ci si riferisce al fascismo nessuno ha il coraggio di replicare.Ora è troppo tardi come per tante altre cose . Un altro esempio? La battaglia perduta contro gli scarabocchiatori di muri contro cui adesso tutti si scagliano, dalla gente comune ali amministratori locali. Un vero obbrobrio certamente, ma anche qui allorché qualcuno all’inizio del fenomeno lo denunciava c’era sempre l’intelligente di turno che lo giustificava, che difendeva “la creatività giovanile”, “lo spontaneo e insopprimibile spirito artistico dei ragazzi” eccetera eccetera. Allora era street art, erano writers (addirittura). Ora sono sporcaccioni, vandali,imbrattatori, deturpatori che si devono fermare e punire a ogni costo. Ma nessuno riesce a impedire le loro eroiche imprese. Ma se ci si fosse pensato a tempo debito?
Non possiamo nn dirci conservatori, e allora attenti con la santificazione della tecnologia
Quel che la Corte Suprema non ha considerando riguardo al divorzio
Perché la destra sta sparendo dall'agone politico
Mettete la museruola ai genitori incoscienti
Se le donne vincono quando in politica i migliori rinunciano