Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Da un numero apparso della rivista germanica“Auto Motor und Sport” ho letto, ora è qualche tempo, di una avvenuta corsa in salita per sole automobili storiche cui prendeva parte anche una Volkswagen Typ 11, il glorioso “Ei”, “uovo”, progettato dal professor Ferdinand Porsche fin dai primi anni 30 ed entrato di poi nella produzione di serie nel lontano 1938. La macchina che aggrediva le curve della salita ai colli ora calvi ora popolati di abeti, larici e faggi in un lembo della Foresta Nera era un esemplare costruito anteriormente al 1963 e così riconoscibile perché se esso era dotato ancora delle frecce di direzione a bacchetta pure non aveva il lunotto posteriore sdoppiato in due vetrini, detto dai tedeschi Brezelfenster, o quello della serie successiva a foggia ovale. Da vari particolari che qui è inutile elencare la vettura pareva dunque plausibilmente risalire ai tardi anni 50. Essa doveva far rivivere, così scrive la rivista, quella Volkswagen preparata dalla casa di Wolfsburg, e con il provvido aiuto dei tecnici della Porsche, che partecipò con onore ad una delle ultime Mille Miglia. L’esemplare ricostruito ne seguiva le linee con fedeltà pure se vi era stato un consistente aumento di cavalli. Per riassumere, queste erano le caratteristiche di massima della vettura: su di una Volkswagen Typ 11, il “Maggiolino”, rigidamente d’epoca un bravo collezionista faceva installare, esattamente come era avvenuto per la macchina della Mille Miglia che faceva da modello, un motore della Porsche 356.
Questo è, in pratica, lo stesso propulsore a quattro cilindri contrapposti e raffreddamento ad aria della Volkswagen “Ei” sottoposto però ad una accurata preparazione che lo rende fruibile alla sportiva coupé aerodinamica della casa di Stoccarda. Il Maggiolino della lontana Mille Miglia arrivava a 60 cavalli, quello ricostruito rendeva ora 70 cavalli per il fatto che il motore installato era quello di una serie ulteriore della Porsche 356 con cubatura portata a1500 centimetri cubi. Al telaio, alle sospensioni e ai freni del Maggiolino ricostruito erano apportate le stesse modifiche che si conoscevano sulla macchina delle Mille Miglia. Dalle poche foto della corsa si poteva notare che anche gli ampi cerchi da 15 pollici del bolide a uovo di Wolfsburg non albergavano più i sottili pneumatici adeguati ai quieti 110 orari della macchina dell’anno 1957, ma erano montati quelli un poco più spessi della 356. Sul cruscotto dell’utilitaria restavano un antidiluviano volante a due sole razze e la pompetta manuale per l’acqua ai tergivetro e però trovava posto, sulla sinistra del tachimetro, un contagiri. Entrambi gli strumenti estratti dalla 356 degli stessi anni. I sedili sportivi nuovi e le cinture di sicurezza costituivano le deviazioni vistose dalla fin qui esatta ricostruzione del modello passato. Tutto questo in guisa di sommaria panoramica tecnica. Bella era la cronaca della corsa con le impressioni dei due piloti: il macinino non arrancava più i tornanti con la costanza della lumaca ma al rombo sommesso eppure pieno del propulsore infilava le curve e saliva rapido sulle rampe collinari per la gioia dei piloti e l’ammirato stupore degli spettatori. Unanime ne era la ragione; i 70 cavalli ed il proverbiale tiro fin da basso numero di giri del quattro cilindri contrapposti potevano esercitare una consistente spinta sui soli 730 chili della berlina dalle forme e dal peso anteguerra. In un tratto rettilineo su piano erano cronometrati oltre 160 chilometri all’ora. I piloti raccontavano in seguito che i 165 orari sono alla portata della macchina.
Ricordo che avevo abbozzato, or non è molto, una berlinetta coupé a due posti sulla base del glorioso Maggiolino. A parte il puro diletto dello scarabocchiare, l’intento era quello di fissare un’idea la quale potesse dare al collezionista che avesse una macchina di Wolfsburg d’una serie costruita fino al 1965 e per la quale non fosse più conveniente un restauro totale e perfetto degli interni, l’ispirazione a trasformarla radicalmente in un elegante esemplare unico. Coupé simili a quello da me disegnato ne erano stati costruiti dalla carrozzeria Hebmüller. Il mio bozzetto accentuava, sull’esperienza di prove di cui si può leggere nei testi di aerodinamica dell’automobile la possibilità di dare al padiglione della nuova berlinetta su base Volkswagen un barlume di forma Kamm che, unito alla carenatura dei passaruota posteriori e delle cerniere di rotazione delle portiere, doveva rendere la macchina più penetrante del modello costruito da Hebmüller. Entrambi i coupé, quello vero e quello da me scarabocchiato hanno una sezione maestra che è plausibilmente minore, seppure di poco, stante la ridotta altezza del padiglione, di quella della Typ 11 ad uovo, le cui linee sono opera di Erwin Komenda il vulcanico artiere delle forme nello studio Porsche. A lume di quanto combinato dal bravo collezionista della VW della corsa in salita, ecco che pure per questa macchina si può immaginare l’egregia preparazione di telaio freni e ruote unita al robusto potente sommesso quattro cilindri 1,5 litri della 356.
Poscritto
Quel rodomonte del Barone di Münchausen disse, arrivato che fu ad un certo punto delle note e strabilianti avventure delle quali era però l’unico attore e testimone: “A questo mondo, signori, occorre sapersi industriare”. Una sentenza, la sua, che può ben coronare il doppio riuscito lavoro di trasformazione in macchina per la Mille Miglia e da corsa in salita, del quieto e solido Ei frutto della fervida inventiva meccanica del professor Porsche. Vale in ogni caso di rammentare che su di un esemplare cabriolet della Typ 11 già durante il tempo bellico venne installato un compressore volumetrico capace di elevare la potenza del propulsore a circa 50 cavalli. Ciò è raccontato da Ferry, figlio ed aiutante del professor Porsche. Questa macchina sovralimentata si rivelò nelle mani di esperti piloti una rapida e dilettevole versione scoperta del celebre Ei.
Violetta Valéry ritorna nel suo tempo: una Traviata ottocentesca per il Maggio Musicale
Firenze: una Butterfly d'eccezione per il centenario pucciniano
Madama Butterfly tra Oriente e Occidente: Daniele Gatti legge il capolavoro di Puccini
Una favola che seduce e incanta: Cenerentola di Rossini trionfa al Maggio
Un lampo, un sogno, un gioco: Gioacchino Rossini, Manu Lalli e l'incanto di Cenerentola