Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
o benissimo di incorrere nell’ira delle “sorelle” femministe e anche in quella delle post femministe, ma francamente comincio ad essere stufa del modo in cui troppe donne stanno mostrando di gestire il potere (non solo quello politico), non so più come fare a giustificare, soprattutto a me stessa che ho sempre creduto nella necessità di riscattare le qualità femminili sulla prepotenza solidale maschile, la meschina e troppe volte stupida alterigia femminile che si manifesta un po’ in tutti i campi sia dal punto di vista formale che sostanziale.
Oggi cominciamo con le forme. E in particolare con il linguaggio.
Sembra che la parità di genere debba passare attraverso l’esaltazione della differenza portata alle estreme conseguenze fino sulle soglie del ridicolo e dentro il disarmonico. È nota la predilezione della Presidente della Camera per la declinazione al femminile di ogni nome che richiami una funzione. Ministro deve essere declinato al femminile in Ministra, avvocato in avvocatessa, presidente in presidentessa, magistrato in magistrata, e via femminilizzando in nome della rivendicazione della parità.
Il problema di assonanze equivoche e fastidiose (ministra assomiglia pericolosamente a minestra) non preoccupa minimamente queste suffragette della lingua che presto, come già si va affermando in alcune deliranti tesi sulla parità declinativa, pretenderanno la compresenza di maschile e femminile nella stessa parola che indica la possibilità di un soggetto maschile o femminile per cui si dovrà scrivere e dire per esempio : «L’elettore/trice, chiamato/a a esprimere il proprio voto» oppure «Il pensionato/a che si rechi a prendere la pensione alle poste dovrà chiedere all’impiegato/a di parlare con il direttore/trice per ottenere …»
Lascio al lettore/trice immaginarsi come possa diventare una conversazione, una comunicazione parlamentare, un discorso pubblico, e poi un telegiornale, un talk show un romanzo, o un articolo di giornale se questa idiozia pseudoparitaria dovesse affermarsi. E non illudetevi accadrà prima o poi perché all’imbecillità non c’è limite. Il passo successivo sarà il dibattito se debba essere messa in radice la forma maschile o quella femminile, lettore/trice o lettrice/tore, le donne avranno forti problemi di coscienza perché se pretenderanno di essere messe al primo posto sembrerà che rivendichino l’atica galanteria nei confronti del sesso debole assolutamente inaccettabile dalla politica paritaria, d’altra parte essere sempre messe al secondo posto… perpetua la sottomissione al genere maschile.
Ma non finirà, perché dopo di ciò si procederà alla doppia declinazione assoluta ovvero si renderanno i generi intercambiabili e multipli in ogni caso, perché sicuramente ci sarà qualche anima bella che comincerà a riflettere sui nomi maschili e femminili e si chiederà perché il “quaderno” il “diario” il “microfono” il “sugo” il “prosciutto” il “quadro” il “palinsesto” il “mondo” l’”universo” il “voto” ecc ecc sono maschili. Per quale dannato motivo si deve sottostare alla tirannia di mangiare una fetta (femminile) di prosciutto (maschile), o di scrivere con la penna (femminile) sul quaderno (maschile) copiando una frase (femminile) da un libro (maschile) che è poi un romanzo (maschile)? Poiché la grammatica non mostra di essere politicamente sensibile si dovrà intervenire con un’operazione di rettifica risanatrice (femminile) e allora potremo finalmente mangiare un/a fetta/o di prosciutto/a; e copiare un/a frase/o da un/a libro/a che è poi un/a romanzo/a, ricordandomi bene di declinare nel secondo genere anche articoli e aggettivi.
Per ora gli avverbi si salveranno, ma non è detto, le riforme sono riforme e non guardano in faccia a nessuno.
Ps La prossima volta parleremo degli appellativi.
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