1° maggio 2015

Festeggiamo la festa del lavoro ricordando un sindacalista rivoluzionario morto nella Grande Guerra, Filippo Corridoni

In un paese dove non c'è lavoro e quelli che lo hanno vengono trattati come mangiapane a tradimento invece di far festa conviene rendere omaggio alla memoria di chi andò al fronte per i suoi operai

di Mario  Bozzi Sentieri

Festeggiamo la festa del lavoro ricordando un sindacalista rivoluzionario morto nella Grande Guerra, Filippo Corridoni

Filippo Corridoni

Non è solo per l’imminente centenario della partecipazione dell’Italia alla Grande Guerra che questo primo maggio 2015 crediamo vada  doverosamente dedicato a Filippo Corridoni, figura emblematica di sindacalista rivoluzionario, passato dall’ “antipatriottismo” all’interventismo del maggio italiano, dalla lotta di classe all’idea della  “Patria da conquistare”, dall’internazionalismo pacifista alla morte in guerra, all’assalto di una trincea, il 23 ottobre 1915.

E’ anche guardando al “contesto” in cui, quest’ anno, si tiene la “festa del lavoro”,  che crediamo sia necessario  declinare contemporaneamente i temi dell’attualità e quelli della memoria, una memoria “forte”, qual è appunto quella di Corridoni.

Oggi i lavoratori hanno ben poco di che festeggiare, costretti, come sono, a fare i conti con una precarietà dilagante, che non trova purtroppo adeguati strumenti di risposta, di azione, di organizzazione e quindi ne alimenta stanchezze e frustrazioni.

La crisi non è solo nell’economia e nelle aziende. Anche le organizzazioni sindacali mostrano oggettivamente le loro debolezze “strutturali”, incapaci come sono state, in questi anni, di cogliere i cambiamenti, se non di prefigurarli, individuando nuovi strumenti di organizzazione/rappresentanza ed uscendo fuori dai logori schematismi ideologici, per  farsi forza “integrale”, al di là dei condizionamenti di schieramento o di partito.

Per questo il richiamo a Corridoni non è solo storico e simbolico, per il valore della sua lotta sociale e patriottica, antiborghese (con un richiamo, di grande attualità, ai “doveri” della borghesia) e antiparlamentare (non per un rifiuto della politica, ma certamente contro le ipocrisie del riformismo).

Nei vent’anni compresi tra la fine del XIX Secolo ed primo conflitto mondiale egli è un esempio della capacità di “mettersi in gioco”, di elaborare, sui crinali della lotta sindacale,  una nuova sintesi ideologica, una nuova simbologia collettiva, una nuova idea della politica e della socialità.

Scelta “teorica”, la sua (sostenuta da una grande scuola di pensiero, d’impronta soreliana, a cui dettero contributi essenziali sindacalisti-intellettuali, quali Alceste De Ambris, Agostino Lanzillo, Angelo Oliviero Olivetti, Sergio Panunzio, Edmondo Rossoni) ed insieme “pratica”, cioè realizzata con un costante lavoro sociale, con un’integrale volontà di radicare, a livello popolare, le proprie idee, fino all’estremo sacrificio.

In piena coerenza con questa scelta di fondo, Corridoni non solo è in prima linea nella campagna interventista, spendendo in essa tutta la sua credibilità di leader sindacale, più volte incarcerato ed esiliato proprio per il radicalismo delle sue idee,  ma si mette  in gioco, da subito, anche  sul fronte bellico, una volta che l’Italia scende in campo, arruolandosi volontario, malgrado la malattia, chiedendo  di andare in prima linea  e morendo  all’assalto delle trincee nemiche,  consapevole delle proprio responsabilità rispetto ai “suoi operai”.

  “Io debbo viverla la guerra – scrive in una lettera-testamento  alla vigilia della morte  – io , per mia predicazione dello scorso maggio, ho doveri superiori ad ogni altro e la missione vuole ch’io impietri il mio cuore, che vigili i miei sentimenti, domini ogni mia debolezza. Comprima ogni repulsione, per essere sempre pronto a dire agli altri la parola che rinfranchi, la invettiva che inciti, la calda esortazione che mantenga tutti sulla via aspra e difficile del doloroso ma santo dovere”.

 Di Corridoni “eretico”, cent’anni dopo, non è inutile  ritrovare ed interpretare il dinamismo sociale, la suggestione  del suo messaggio, delle sue idee, del suo esempio.

La sua figura ci riconsegna la forza di un’epoca di grandi passioni civili e di un esemplare dinamismo intellettuale, sociale e politico, a cui guardare, ben al di là del tempo trascorso, per il suo valore suggestivo: epoca di futuristi e di arditi, di masse appassionate e di tribuni, di affermazioni assolute e di negazioni sovrane, in grado di scomporre le vecchie appartenenze e di sintetizzarle ex novo.

Per questo, ancora oggi, Corridoni va studiato e compreso nella sua essenza e complessità, al di là di ogni sterile celebrazione. Per questo, a quasi cent’anni dalla sua scomparsa,  crediamo che gli vada dedicato questo primo maggio 2015. Senza retorica. Per tornare a dare un senso  ed un valore alle Idee di Patria e di Lavoro, finalmente coniugate insieme.

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