Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
In un capitolo passato si raccontava della corsa in salita d’una Volkswagen Typ 11 elaborata in telaio, sospensioni, freni, ruote e motore con i componenti delle berlinette Porsche 356, i fantastici gioielli d’arte meccanica che nati sulla base dell’automobileper il popolo, la Volkswagen, mietevano allori nelle corse e di poi charme per la bellezza e le raffinate soluzioni tecniche unite alla semplicità nell’uso. Macchine che erano tali da consacrare alla fama perenne, nel caso ciò fosse stato necessario, il nome del loro augusto costruttore boemo, nominato a furor di popolo “Professore honoris causa” da un qualche Politecnico germanico, per quanto non avesse minimamente assolto l’iter canonico degli studi. Il professor Porsche già da suddito dell’Absburgo si era distinto per aver fatto arrivare nel suo villaggio domestico la corrente elettrica e poi, dopo lo strano esperimento d’un’auto a batteria con i motori calettati sui mozzi delle ruote del 1898, per aver creato un vulcanico treno d’artiglieria trainato da una trattrice con i motori elettrici sui mozzi delle ruote ed alimentati da un possente motore a benzina che metteva in rotazione la dinamo necessaria all’afflusso di corrente continua agli avvolgimenti dei propulsori alle ruote. Perconoscere tutti i progetti di Ferdinand Porsche alla Austro Daimler prima, alla Mercedes Benz di poi, e infine presso il proprioKonstruktionsbüro in quel di Stoccarda, dove vedono la luce sui tecnigrafi le Auto Union da Gran Prix ed il progetto dell’auto per il popolo è, qui, da rinviarsi alla sterminata letteratura, ancora inesaurita, sull’argomento. Una letteratura resa vivida dai racconti degli attori di quelle avventure tecniche fatalmente intrecciate colla trama storica d’un tempo costellato di panorami sui quali, dopo le distruzioni dell’avvenuto primo conflitto, spirava il vento gelido dell’inesorabile esattezza e della luciditàinquieta e metallica che inaugurava una sorta di “romanticismo dell’acciaio”.
In questo capitolo affiorava la tentazione di celebrare in guisa futurista il genio germanico della tecnica assoluta, dato che il suo Konstruktionsbüro trattava progetti navali, aeronautici, ferroviari e oltre. Un esatto contrappunto degli dèi, in special modo quelli della terza funzione nel Pantheon tripartito indeuropeo, ha tuttavia voluto che il professor Porsche nascesse nell’Austria quieta e cullata sulle guglie e sui pinnacoli delle architetture viennesi dalla musica ispirata ad un inesausto Wille saturo d’Infinito. Il pensiero si volge qui a Beethoven, a Schubert, a Bruckner. E questo contrappunto pare quasi esser della sostanza d’una benevola burla del bravo genio latino e futurista.
È allora solo una lieve digressione sulla Eiform di molte auto con barlumi di aerodinamica degli anni 30 che può giustificarsiuna volta che siano stati adombrati i numi della prosperità e della salute. Che similarità si era disvelata alla fantasia piùprofonda dell’architetto, qui del mezzo mobile, nel dare alla macchina una forma esterna ad uovo? Leggendo gli scritti di Mircea Eliade, nei capitoli intorno a rituali agrari e festività della rinascita primaverile entra in argomento anche l’Uovo cosmico che si dimostra esser un emblema di immortalità, e come tale evocato dall’arte rurale nel semplice uovo dal guscio vivamente decorato, alcune volte da svastiche intrecciate, nell’Ucraina e in altre regioni dell’Europa centrale e orientale. Ma l’automobile aerodinamica a uovo per una strana similitudine con l’Uovo cosmico e il suo appetitoso e nutriente succedaneo sidimostra altrettanto essere un emblema della nuova auto per tutti negli anni 30. Tale fu certo la Volkswagen anche per il fatto di esser stata la più longeva delle macchine di questa forma, ma essa era stata preceduta da innumerevoli altre costruzioni meno fortunate, molte delle quali nemmeno entrate in una regolare produzione di serie. Mentre di quelle che avevano avuto la loro più o meno tenue vita meccanica, conviene ricordare qui l’austriaca Steyr e, a ruota nel 1939, la piccola Lancia Àrdea, il bellissimo prototipo della Citroën 2CV e la raffinata Hanomag 1,3 litri Autobahn sempre del medesimo anno. È quindi d’una sorta di rinascita della prosperità, ergo primaverile dopo l’immane tragedia della Guerra mondiale, che si può forse intuire quale più oscuro moto, presentito che sia o meno, nell’atto creativo degli ingegneri che davano forma esterna alle loro macchine?Inutile ricordare, a titolo di aggiunta all’argomento, la grafica gioiosa e scintillante d’una primavera a colori sgargianti nella pubblicità che precedeva nel 1938 l’uscita della vettura popolare germanica. Per l’Uovo cosmico, ovvero il guscio che porta in sé tutte le possibili virtualità, una similitudine si potrebbe rintracciare con un ben più possente apparato di documenti che non ho e di fronte al quale devo cedere . Mi resta solo di riaffermare un’idea che mi balugina nella simiglianza che ravvedo fra la macchinetta a uovo ed un guscio materno e protettivo foriero d’ una nuova primavera in movimento. O fra l’auto così sagomata e la tartaruga che movendosi porta tuttavia la casa con sé. Come si vede le possibilità per uno studio che vada a ravvisare i ricordi di favole o mito che si celano anche sotto la coltre dell’apparente necessità di un disegno funzionale ovvero dettato solo dall’esclusivo fine tecnico sono molteplici. D’altra parte studi del medesimo genere sono stati compiuti con risultato per l’architettura. E qui allego l’ultima delle similarità che credo d’intravedere nella forma della macchina aerodinamica ad uovo: non appare il suo padiglione come una sorta di trasfusione in disegno meccanico d’una cupola basilicale? Quest’ultima puòvedersi quale traduzione in edificio per un rituale corale tanto della volta stellata quanto della volta cranica, e quindi ancora una volta essa è riconducibile ad una sorta di Uovo cosmico. Sorge il quesito di quale possa essere allora il rituale corale eseguitonella piccola “basilica” mobile. Credo di poter affermare che questo altro non può essere, e in tutta evidenza che un viaggio. Viaggio non più solo mentale e costellato dalle stazioni della liturgia del rito, ma viaggio effettivo, appianatosi lungo le autostrade che si distendono negli idilliaci paesaggi germanici. Lo si vede pure dalle fotografie propagandistiche e pubblicitarie di quel tempo che ritraggono il doppio nastro di cemento dell’autostrada vanto di un Reich che appena venti anni prima giacevaprostrato da carestia e distruzioni e rivoluzioni sanguinose.
Nell’uovo come scrive il Romeno vi è rigenerazione, vi è la ripetizione d’una nascita secondo il modello cosmogonico: se si osserva come nacque la più famosa delle vetture ad uovo, la KdF del professor Porsche, e l’apparato pubblicitario che ad essa fu adattato, e l’attesa sociale in termini di fabbrica disegnata con arte, salubrità dell’ambiente della natura circostante, protezione del lavoro, della maternità e così via, non si può non vedervi un barlume di trasposizione in forme meccaniche, per allora, di una sorta di Utopia rigeneratrice, ovvero di ripetizione d’una nascita modellata cosmogonicamente. E però mi appare per così dire un’altra coincidenza che può estendere e alimentare queste suggestioni che, non lo nego, trovano nutrimento anche nella fantasia adescata dalle forme ballonzolanti dell’uovo. Rammento allora che, in fondo, dei tipi di vetture a uovo entrati nella realtà della costruzione in serie, diverse e non poche hanno queste peculiarità: la prima, esse sono automobili che vorrebbero essere con maggiore o minor ostentazione “popolari”, quindi accessibili a vasti strati sociali ed economiche nell’uso e nel mantenimento. La qual cosa si intinge nel rosso delle rivoluzioni che sono il seguito alquanto imperfetto dell’Utopia. La seconda peculiarità mi sembra più importante perché distaccata da rituali collettivi: esse vengono costruite direttamente in area alpina e prealpina come la Lancia Ardea torinese e la Steyr austriaca oppure il loro progettista è di stirpe alpina o prealpina quale, appunto, il professor Porsche di stirpe boema. Mi pare quasi di rinvenire nelle falde spioventi e arrotondate, già a prima impressione protettive, dell’uovo che costituisce il padiglione dell’auto, in trasposizione meccanica, la “Hütte”, la capanna alpina dal tetto sommerso dalla neve che presto si stonda con il vento, entro la quale vi è, come nel guscio della tartaruga unrifugio da tempesta e gelo.
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