Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
on è solo per un cronico provincialismo del nostro sistema politico che il risultato elettorale del conservatore David Cameron è stato subito visto dal centrodestra italiano come una “bandiera” di cui appropriarsi. Al di là delle facili e superficiali adesioni, il richiamo all’esperienza britannica rende ulteriormente evidente la difficoltà dei partiti italiani, che dicono di richiamarsi a Cameron, nell’elaborare modelli politico-organizzativi originali. Ecco perché, come in una sorta di mercatino del prodotto taroccato, ci si accontenta di riprodurre la griffe, senza quel minimo di ragionamento/approfondimento che la questione richiederebbe.
D’accordo, oggi il messaggio è tutto. Ma in questa fase di “interregno” (fra il “non più” e il “non ancora” evocato da Zygmunt Bauman) alla domanda di idee e di programmi (e di leadership) non si può pensare di rispondere, rispetto ad una realtà economica e sociale oggettivamente diversa, con la mera riproposizione di modelli d’importazione.
Si parli piuttosto “di metodo”. Cameron ha vinto innanzitutto perché ha trasformato un’idea di fondo (per semplificare: il rigore senza tasse) in concreta azione di governo, dimostrando poi, dati alla mano, di essere riuscito a realizzare gli obiettivi promessi (con la Gran Bretagna che cresce del 2,6 per cento) anche a costo di sfidare la piazza, i sindacati, perfino la Chiesa locale. Cameron è riuscito, in definitiva, a trasmettere fiducia (laddove il suo avversario più diretto, il laburista Ed Miliband, arrancava con proposte poco credibili e spendibili) e a creare un’aspettativa (in particolare sul tema sensibile delle tasse e dei salari).
Ma la vittoria di Cameron è anche la vittoria della parte popolare dei tories, quella rappresentata dal sindaco di Londra, Boris Johnson, che ha chiesto che i risultati della crescita vengano utilizzati per migliorare il tenore delle classi meno abbienti.
E’ la stessa preoccupazione, dopo il risultato elettorale, manifestata da Cameron, il quale ha parlato di nuova politica inclusiva dei ceti popolari, segno di una sensibilità reale, che contribuisce ulteriormente a rompere gli stereotipi conservatori. Non a caso è stato lo stesso premier tory a rendere legali i matrimoni omosessuali. Così come il già citato sindaco di Londra si è fatto paladino di una politica ecologista (insieme però – va sottolineato – alla reintroduzione del latino nelle scuole pubbliche inglesi). Intanto il nazionalista Cameron, dopo avere raffermato i sacri vincoli patriottici, non ha escluso ampi spazi la devoluzione, insieme al decentramento fiscale, anche in ragione della forte avanzata dei nazionalisti scozzesi ed in attesa del referendum sull’Europa.
E’ guardando a questo “mix” spregiudicato e complesso che può essere compreso il successo di Cameron. Si evitino perciò facili slogan ed appropriazioni indebite. Non è con qualche richiamo strumentale che si può pensare di costruire una nuova politica. Ci vuole ben altro per “dare ali” ad un centrodestra in affanno che deve imparare a fare i compiti più che scopiazzare quegli altrui, purtroppo senza comprenderne neppure il significato reale.
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