Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Palmyra
Ieri 16 maggio 2015 alle 18,30 circa, ora italiana, il nero vessillo di quell' agglomerato che ci rifiutiamo di chiamare Stato e Islamico, ha preso a sventolare issato su di un edificio della cittadina di Tadmor, meglio conosciuta come Palmyra, la nuova Palmyra. Lì, a poche centinaia di metri dal sito archeologico, le postazioni si combattono, mentre il Governo di Damasco ha inviato truppe di rinforzo al già presente esercito, e, consapevole della massiccia fornitura di armamenti al Daesh, o Isis come dir si voglia, procurata dall'occidente, per voce di Maanum Abdelkarim, direttore governativo delle antichità in Siria, evoca la possibilità di una catastrofe internazionale, se la furia dei miliziani jihadisti dovesse raggiungere e travolgere l'antica storia. Così, dopo le città irachene di Ninive, Nimrud, Hatra, potrebbe essere la volta di Palmyra. Il sito testimone d'antica grandezza, si apre su una delle vie carovaniere che, relativamente al luogo di provenienza, se da occidente o da oriente, si poteva dire giungere dall'Eufrate, quindi dal Vecchio Continente verso la Persia e l'India per la Cina o giungere dal Golfo Persico, quindi da Cina e India per poi attraversare Iraq, Siria, Palestina, tuffarsi nel Mediterraneo ed approdare sul Vecchio Continente, sempre e comunque con i suoi carichi di ricchezza e bellezza da condividere.
La Siria, questa terra ora devastata e fino a poco fa ricca
e moderna, che accoglie Palmyra, in antico era ancor più ricca e ancor più
moderna, quando, avamporto di un oriente sconfinato, faceva fiorire le sue
città fino al Mediterraneo appunto, in quella che, comprendendo anche la
Palestina, sarebbe rientrata per noi nella storica classificazione di
Asia Anteriore.
Il regno di Palmyra, governato da Arabi, benché di popolazione aramea
fortemente ellenizzata, sin dal I secolo d.C., raccolte le eredità di Petra,
fu un' eccellenza di fioritura che si protrasse fino alla metà del III
secolo, quando, morto il suo re Odennato che Gallieno aveva indicato quale
" dux et corrector totius Orientis", ovviamente riferendosi
all'oriente con cui Roma aveva rapporti diretti, la sua vedova e regina, con
una politica di autonomia ed espansione, suo malgrado provocò le ire di
Roma, tanto che Aureliano, nel 272, procurò la distruzione della capitale Palmyra,
con essa la fine del regno. Questo ieri.
Oggi, ora, in questi nostri giorni, il tragitto del Daesh, su quel fronte, è
esattamente lo stesso, lungo l'antica via carovaniera da est, anzi nord-est
verso ovest, il che mostra un disegno a tavolino come da libro di storia, anche
perché di storia si tratta, storia un tempo costruita ora sbriciolata. C'è
da dire però che fino a questo momento, anche se il prossimo attimo non lo
conosciamo, altri importanti siti siriani, se pur meno conosciuti, quali Rasafa,
Dura Europos e Mari, benché siano stati saccheggiati dai miliziani del Daesh,
non sono però stati distrutti. Il motivo, quello ritenuto possibile, ci
muoviamo con i condizionali come spesso in queste faccende, sarebbe da
ricercarsi nella presenza, nei siti iracheni, di manufatti raffiguranti idoli e
divinità, quindi il motivo sarebbe di iconoclastia, ma la nostra idea è che non
si tratti di iconoclastia in senso stretto, bensì dimostrazione di
iconoclastia, all'opinione pubblica, più che reale iconoclastia.
L'atteggiamento iconoclasta nei Jiahadisti, evidenzia infatti l'aspetto
religioso degli atti sacrileghi quindi facilita l'attribuzione delle azioni
belliche e distruttive a guerre interne di religione, deviando sempre più
l'opinione pubblica di cui sopra, dalla verità, ovvero guerre procurate,
fomentate nonché assemblate e addestrate, in specie all'inizio, dall'estremo
occidente e dai suoi complici o alleati, la sostanza non cambia. Motivo che
calza molto meglio dell'iconoclastia vera e propria, dato, tra l'altro, che
l'80% dei miliziani del Daesh sono europei indottrinati, eccetera
eccetera.
In contemporanea a questa situazione, Abu Sayyaf capo di uno dei siti
petroliferi siriani, viene ucciso e sua moglie Umm, attivista all'interno
dell'organizzazione, fatta prigioniera, in un blitz di cui il governo di
Damasco era stato inizialmente tenuto all'oscuro, poi espressamente escluso,
infatti Bernadette Meehan, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale Usa:
" Abbiamo avvertito il regime di Bashar al-Assad di non intervenire con le
iniziative atte da parte nostra, contro lo Stato Islamico all'interno del
territorio siriano, perché quel regime non può essere nostro alleato nella
lotta".
Altra contemporaneità è dell'esercito siriano che, a sua volta in un blitz,
uccide Abu al-Taym al-Saudi, capo di quello che è il più grande sito
petrolifero del paese, il campo di Omar, sempre nell'est della Siria.
Scenario a dir poco interessante, non tanto per i blitz attuati come in una
competizione in video game, quanto per l'evidente approssimarsi di
un' ulteriore manovra di defenestrazione di al-Assad e tutto il suo governo, sì
da prendere potere sulla Siria, obiettivo nel mirino occidentale dal 2011 al
cui raggiungimento è dovuta gran parte della formazione del Dash o Isis.
Infatti le teste di cuoio americane elitrasportate fuori dall'Iraq per il blitz
di cui sopra, stanno a significare truppe speciali americane ufficialmente su
suolo siriano a scopo di attacco ai miliziani. Ma a questo si aggiunge la
dichiarazione di Obama, da cui è partito l'ordine del blitz, di qualche ora
prima, in cui senza mezzi termini rilancia il sospetto delle armi chimiche
probabilmente usate dalle " truppe fedeli a Bashar al- Assad", è così
che si esprime parlando dell'esercito siriano, come fossero i ribelli
dell'altra sponda e non soldati legittimi di un governo legittimo e di
elezione, tra l'altro riconfermato di uno Stato Sovrano che sta agendo per
difendere la propria terra in casa propria, volutamente infestata dall'esterno
da mercenari stranieri.
Sarebbe davvero una cecità non vedere l'intera manovra, tra l'altro ripetizione
di precedenti, il 2003 non va dimenticato con la menzogna sulle armi
chimiche di Saddam Hussain, principio di una seconda strategia dopo la prima,
prima bellica non politica strategica, quella dell'ottobre del 2001 in
Afghanistan. Oggi, in queste ore è Palmyra ad indicare il passaggio della
storia, chissà se la cronaca risparmierà per i posteri i segni della la sua
storia. Della nostra.
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