Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
uona scuola? Tutto fuorché buona, purtroppo. L’istruzione italiana soffre da molto, troppo tempo, di mali endemici dovuti
anche – e forse soprattutto - a una smania riformistica che sembra cogliere tutti o quasi i governi: dall’ormai remoto, faraonico progetto di “riordino dei cicli scolastici” progettato da Luigi Berlinguer, ministro della Pubblica Istruzione (o come sarebbe meglio chiamarla, pubblica distruzione) dal 1996 al 2000, all’abortita riforma Moratti, alla purtroppo realizzata riforma Gelmini.Difficile dire quali fosse il peggiore tra i tre progetti, ma dell’ultimo che per nostra disgrazia è giunto in porto possiamo verificarne i disastri: dalla diminuzione di ore in materie importantissime, al vulnus inferto all’insegnamento del latino e proprio da un governo di centro destra che a parole se ne era sempre fatto paladino; alla follia delle CLIL, ovvero dell’insegnamento di una materia curriculare in lingua straniera, di solito l’inglese, per cui in alcune classi si rischia di fare matematica o scienze, ma anche storia o geografia, in una lingua diversa da quella madre.
Se sarebbe comprensibile, e forse anche auspicabile, un potenziamento delle lingue straniere, questa è invece follia pura e semplice, soprattutto se si considera che gli studenti di oggi hanno spesso problemi con la loro lingua madre. E non solo loro, purtroppo: si provi qualche volta a “testare” l’uso di congiuntivi e condizionali da parte di alcuni docenti, soprattutto se di materie non umanistiche …. Per il momento, italiano latino e greco sono esenti da tale assurdità, ma di sicuro non ci mancherà molto e si dovrà declamare Dante nella lingua di Shakespeare (nella migliore delle ipotesi …).
Il progetto di Renzi, al di là di alcuni spunti interessanti, si pone dunque come l’ennesimo – e si potrebbe dire massiccio – colpo di piccone a un edificio tutto sommato incredibilmente glorioso, che rischia questa volta di franare del tutto. Questo però è stato giustamente detto e ridetto più volte anche su queste colonne, per cui la riflessione che si vorrebbe fare è un’altra. Come definire la scuola attuale, quella “pre renziana” e magari anche pre gelminiana? Non certo buona scuola; ma vogliamo scherzare? C’è al massimo qualche buon insegnante, insieme però anche ad “altro”. Perché se è vero che molti dei luoghi comuni contro la classe docente sono infondati e anche piuttosto cretini (lavorano poco, hanno ferie troppo lunghe etc.) perché nessuno in realtà tiene conto dell’esatta natura dell’insegnamento che richiede – quando è fatto bene – tempi molto lunghi di preparazione, per non parlare poi della preparazione e correzione degli elaborati che sovente non risparmia i giorni festivi – è anche purtroppo vero che una riforma sarebbe sicuramente necessaria, anche se tutt’altro che facile da strutturare nel modo giusto.
Il grosso problema, che tutti i governi recenti sembrano non aver compreso - di destra o di sinistra che abbiano dichiarato di essere, dato ma non concesso che oggi questa distinzione, almeno a livello parlamentare, abbia ancora un minimo di senso visto che l’incompetenza, la disonestà e la cialtroneria che regnano sovrane non conoscono distinzioni di schieramento – è che la scuola non è una azienda. Cosa verissima, anzi sacrosanta; ma farebbero bene a ricordarselo anche i docenti e magari pure i sindacati, grandi assenti in questi ultimi anni (a voler essere buoni) e a cui proprio il progetto Renzi ha recentemente offerto una insperata occasione di visibilità. La classe docente dovrebbe infatti ricordare che il suo compito è soprattutto la trasmissione e l’elaborazione del sapere e la formazione dei giovani (che va ben oltre l’insegnamento delle varie discipline) e un collegio docenti dovrebbe essere in primis un confronto su metodi e strumenti didattici.
Lo è veramente? Forse in qualche isola felice, ma sovente assomiglia molto di più a una rissosa riunione di condominio, in cui si discute di tutto fuorché di didattica, o dove si arriva all’assurdo, come accaduto recentemente in un pur prestigioso liceo fiorentino, che il collegio si arroga il diritto di decidere tutti insieme appassionatamente le prove dei cosiddetti esami di settembre: ovvero, i docenti di matematica decidono anche per filosofia e quelli di educazione fisica per latino. Alla faccia della valorizzazione delle competenze …
O se guardiamo le materie letterarie: quanti docenti di liceo hanno almeno uno straccio di pubblicazione? Quanti di loro, che pure devono insegnare agli studenti la scrittura giornalistica e quella saggistica, hanno mai scritto in vita loro almeno un articoletto di cronaca? Ma nella nostra istituzione scolastica, la presenza dei pochi docenti che siano anche giornalisti non viene minimente valorizzata! In compenso, anche per insegnare italiano e latino, conta molto un diploma di pianoforte …
Non parliamo poi de tanti, troppi docenti che considerano la cattedra una sorta di sinecura da cui ripetere stancamente le solite quattro nozioni, oppure di chi la usa come strumento di indottrinamento politico, soprattutto i residuati bellici sessantottardi e i loro squallidi epigoni.
Sarà un caso che quello che maggiormente sembra spaventare la classe docente italiana è l’idea di essere in qualche modo valutata? Certo, gli strumenti previsti dalla cosiddetta riforma Renzi sono quanto meno discutibili. Un preside – padrone non può essere la risposta all’odierno dirigente passacarte o poco più, anche perché, se la fauna dei docenti è quanto mai variegata, quella dei dirigenti non lo è da meno e accanto a vere e proprie “eccellenze” si riscontrano figure e figuri degni, nel migliore dei casi, della penna di Gogol . In Italia poi vale sempre il vecchio detto di Giovenale “Chi custodirà i custodi ?”
Per quanto riguarda il comitato di valutazione composto da due docenti con rappresentanti degli studenti e dei genitori, somiglia in modo sinistro a un comitato di salute pubblica di giacobina memoria. Non solo è infatti estremamente pericoloso mettere in mano ad alcuni docenti la valutazione dei propri colleghi, ma quello che più lascia perplessi è la presenza non tanto degli studenti (che spesso sono più obiettivi di quanto si pensi) quanto quella dei genitori, soprattutto di quelle “mamme panzer” (o padri d’assalto) pronti a invocare la convenzione di Ginevra se al pargoletto/a, genio incompreso, viene rifilato anche solo un cinque. Dato il mammismo oggi imperante e la caduta verticale dei principi educativi, i genitori sono decisamente da prendersi con le molle, anche se ovviamente questo discorso non va generalizzato.
Tutto vero, ma questo non può e non deve diventare – come sempre accade in Italia – la scusa e l’alibi per lasciare le cose come sono. Se il preside – padrone è sbagliato lo è altrettanto il mero passacarte, così come un docente non può assolutamente sottrarsi alle sue responsabilità: la libertà di insegnamento è sacrosanta, ma dovrebbe avere come corollario imprescindibile il controllo della sua qualità, anche perché la posta in gioco è altissima: la formazione dei nostri ragazzi e il futuro del paese.
Chi scrive vive nella scuola da più di vent’anni e constata con molta amarezza (fatte salve, per fortuna, notevoli e validissime eccezioni) un continuo logoramento e scadimento della propria categoria professionale: in parte, certo, per motivi esterni, ma in parte anche per responsabilità propria. Se il docente vuole ricuperare quello che dovrebbe essere il suo ruolo, che è quello di un professionista della formazione e della cultura, dovrebbe per prima cosa agire e porsi come tale, senza farsi strumentalizzare da sindacati e da logiche da “consiglio di fabbrica” (con tutto il rispetto per le fabbriche, s’intende). Altrimenti si porge poi il fianco alle Gelmini e ai Renzi della situazione, che si presentano come salvatori di una patria che invece contribuiscono sempre più ad affossare.
Una riforma della scuola è necessaria: ma non può essere improvvisata o concepita, come è appunto nello stile da televenditore di pentole usate dell’attuale premier, solo come strumento per la propria immagine di “riformatore ad ogni costo”, dimenticando e soprattutto facendo dimenticare che una riforma non è valida per “statuto”, ma solo se è fatta bene, con competenza e ponderatezza. Tutto il contrario di quelle della Gelmini e di Renzi.
Una riforma della scuola deve avere al suo centro la figura del docente, che deve ritrovare dignità professionale (e sia detto per inciso, visto che gli stipendi sono bloccati da anni: anche economica) ma anche essere messo difronte alle sue responsabilità. E’ sicuramente un processo di grande difficoltà, complessità e delicatezza perché deve tenere in equilibrio e salvaguardare la libertà d’insegnamento e la dignità del docente con il diritto del giovane a ricevere una formazione adeguata e non ideologicamente condizionata; deve garantire un rispetto reciproco tra docenti e alunni (perché se non sempre il docente è rispettato, non sono purtroppo rari i casi in cui a non esserlo è lo studente); salvaguardare dall’ingerenza a volte eccessiva e asfissiante dei genitori, senza con questo negare loro un giusto e necessario grado di coinvolgimento; e non ultimo, dare il dirigente scolastico un ruolo di controllo e se necessario anche di sanzione, ma non farne l’arbitro assoluto del futuro dei docenti. Un vero e proprio “camminare sulle uova” e l’imbonitore di Rignano e la sua squadra di ragazzotti altezzosi (per non parlare della ministra della pubblica istruzione) non sembrano proprio le persone più idonee. Soprattutto è un processo che richiede i sui tempi – non biblici, certo, ma neppure stile usa e getta – e i suoi strumenti.
PARLANO GLI STUDENTI
I ragazzi “cattivi giudici” dei loro docenti? Ovviamente il timore è che nella maggior parte dei casi siano “premiati” i docenti più tolleranti e “amiconi” e invece messi alla gogna quelli più severi, anche se più validi.
E’ sicuramente un rischio da tenere presente ma anche qui bisognerebbe sfatare un luogo comune di buona parte della classe docente: che i ragazzi abbiano sempre e comunque torto. Soprattutto, non è vero che gli studenti guardino sempre e solo alle “facilitazioni”.
Una cosa che spesso e volentieri chiedono è di dialogare con i loro insegnanti. Accettare il dialogo non significa sempre e comunque “dargli ragione” (anzi) ma semplicemente cercare di renderli consapevoli, e quando possibile partecipi, della proprie scelte. Senza venire meno alla responsabilità del proprio ruolo, ma anche senza farne una trincea dalla quale “pontificare” e … sparare a zero.
Quello che seguono sono opinioni sparse di alcuni giovani che hanno da pochissimo terminato il percorso liceale. E’ stato chiesto loro di dare una valutazione del loro percorso liceale e del loro rapporto con gli insegnanti. Non si tratta di lavativi o “sbuccioni” ma di ragazzi che hanno preso sul serio la loro formazione, o che avrebbero voluto farlo.
Primo intervento: “ Neanche io sono favorevole a questa riforma soprattutto perché mi sembra che cerchi di privilegiare la scuola privata invece che la pubblica, che invece necessita di interventi da parte dello stato perché sono anni (almeno da quando io sono al liceo) che per avere una cimosa bisogna o comprarla con i nostri soldi (non che sia una spesona, ma mi sembra assurdo semplicemente il fatto) o rubarla a quelle pochi classi a cui viene consegnata... e la nostra scuola non è tra le peggiori ne conosco alcune dove se piove casca l'acqua in classe Per quanto riguarda i professori ce ne sono alcuni che non si meritano certamente di essere lì e di avere uno stipendio. Professori che nelle giornate in cui hanno voglia di lavorare si limitano a leggere delle diapositive, senza aggiungere un minimo di spiegazione che possa facilitare l'apprendimento a noi studenti. Abbiamo vissuto sulla nostra pelle cosa voglia dire avere dei professori che non hanno voglia o forse non sanno proprio fare il professore. Ma anche per quanto riguarda il tema del docente non credo che tutto il potere in mano al preside possa essere una grande soluzione..”
Secondo intervento: “ Nella mia "carriera scolastica" ho incontrato docenti che meriterebbero di guadagnare il triplo del loro stipendio infame e altri docenti che sono dei veri e propri ladri di soldi pubblici. Purtroppo questi ultimi oscurano e sporcano la reputazione dei primi. È necessario pertanto introdurre delle normative che garantiscano la meritocrazia: chi svolge il proprio lavoro con passione dovrebbe essere premiato con uno stipendio più alto mentre chi è incapace dovrebbe andare a casa e magari essere sostituito da uno dei tanti giovani insegnanti precari sicuramente più validi.
Terzo intervento: “ Programmi troppo vasti: ad esempio a storia che senso ha ripartire dai sumeri e non arrivare in 5 anni nemmeno al muro di Berlino? Riformare i programmi in modo realistico con punti chiave per la formazione di uno studente e di un cittadino, senza fare le corse e non approfondire niente.”
Quarto intervento: “Troppo scarsi i rapporti studenti-professori. Aldilà della scuola proprio sulla questione organizzativa. Sempre a rincorrere le interrogazioni e i compiti, sempre a farsi mal volere dagli studenti, che senso ha? Dov'è la collaborazione? Ci sono solamente pochi esempi di questo tipo di professori “.
Quinto intervento: “Per me la classe docente è divisa nei professori che sono entusiasti di insegnare la propria materia e quelli che invece non trasmettono passione ai ragazzi, e questo rende anche molto più difficile l'apprendimento; a mio parere l'idea di base della riforma non sarebbe pessima, se solo i presidi fossero in grado di scegliere in base alla meritocrazia i giovani docenti che meritano il posto molto più di alcuni che "insegnano" da tempo, o almeno provano a farlo. Il problema è che il mondo di oggi è pieno di corruzione e raccomandazione, il che non rende possibile il buon funzionamento della riforma. Voglio sperare, ad esempio, che il fatto che la moglie di Renzi sia precaria sia una pura coincidenza”.
Non credo servano commenti. Si potrà non essere d’accordo su tutto – ad esempio, il discorso sui “programmi” (che come tali tra l’altro non esistono più) è sicuramente più complesso e articolato di come lo pone il ragazzo. Ma quello che è certo è che tutti questi giovani sarebbero stati felici di avere una “buona scuola”. Se non gli è stata data, o solo in minima parte, bisognerebbe cercare di trovare dei rimedi efficaci e non invece peggiorare ulteriormente le cose.
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