Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Osservo la riproduzione a colori d’un bel San Giorgio Maggiore in Venezia dipinto da Francesco Guardi. Sono fosche le tinte; la spianata delle acque è una massa cupa e scura che riverbera un cielo nuvoloso, d’un bruno mischiato al grigio biancastro dei cumuli più in quota. Qua e là vi sono dei barbagli di chiarore, è la facciata della basilica, sono i prospetti delle case sui due lati dell’edificio palladiano, e di poi la cupola con le rare vele che scivolano sulle acque. La tela è magnifica e nell’adombrare un dì tempestoso si palesa netta la cesura dai dipinti a soggetto consimile del Canaletto, il maestro dei vedutisti. I quadri di quest’ultimo con i colori a toni chiarissimi rammentano la prima estate veneziana, di quando non calano ancora i vapori sull’atmosfera per il soverchio calore e l’aria è trasparente; all’inverso nella tela del Guardi prevalgono i toni bruni dati dalle nubi ombrose in presagio di tempesta. Potrebbero essere i colori d’un dì della primavera che non del tutto svezzata dall’inverno reca dalle Dolomiti con sé piogge e grandine e freddo.
Osservo con attenzione la figura e scopro che lo snello campanile di San Giorgio non ha al sommo la svettante copertura a piramide fissatasi nella memoria lungo le passeggiate sotto il roseo bastione del palazzo ducale quando mi diletto a studiare le precise traiettorie dei lari in volo planato. Nel quadro tardo settecentesco dal campanile è assente il solido pinnacolato e campa piuttosto un globo quasi sferico che ricorda quello dei campanili delle pievi alpine nel Cadore, in Tirolo, o nella Carinzia. La scoperta è assai tardiva per uno scarabocchiatore che ogni tanto agita le sue piume di pavone con le vignette lagunari ed avrebbe dovuto accorgersi a prima vista della variazione. Cerco qui di sopperire alla lenta percezione equilibrando in queste ultime linee con l’invito al lettore a scorgere nel campanile in veglia sulla scenografia d’acque con il globo l’inaspettata rappresentazione architettonica d’una teoria di favole rigvediche. Era all’inizio dei tempi che lo Skambha, il “pilastro cosmico” ovvero l’ ”asse che regge il mondo”, emergeva dalle acque primordiali: il campanile specchiantesi sulle acque del bacino di San Marco ne è la figurazione; con i prodigi della trasformazioni divine lo “Skambha” si mutava nell’”uovo” cosmico che fluttua sulle acque: il campanile del quadro del Guardi termina sublimandosi nel globo-uovo al suo culmine e fluttua maestoso sulle acque, come sospeso alle nubi sovrastanti. Gli inni raccontano ancora che il pilastro conteneva entro sé il folgorante Indra: quando le campane di San Giorgio tuonano a festa spandendo i loro vibranti rintocchi metallici non è questo un rammentare che entro la snella siluetta del campanile avviene come il nume delle folgori stesse agitandosi per venire alla luce?
Violetta Valéry ritorna nel suo tempo: una Traviata ottocentesca per il Maggio Musicale
Firenze: una Butterfly d'eccezione per il centenario pucciniano
Madama Butterfly tra Oriente e Occidente: Daniele Gatti legge il capolavoro di Puccini
Una favola che seduce e incanta: Cenerentola di Rossini trionfa al Maggio
Un lampo, un sogno, un gioco: Gioacchino Rossini, Manu Lalli e l'incanto di Cenerentola