Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
L’assemblea della Banca d’Italia, svoltasi ieri, si è dimostrata ancora una volta e forse più di tante altre volte, talora banale, buonista e scontata con il potere, del quale si sono elogiate misure, dai riflessi insondabili sulle casse erariali, e talaltra seria e puntuale su ritardi e visioni localistiche dell’esecutivo stesso. Il clima nel paese e nella politica intanto è sempre più arroventato da polemiche grottesche e volgari e dalla manovre arzigogolate e cavillose elaborate nelle “secrete stanze” di palazzo Chigi, condizionate tutte more italico dal voto di domenica prossima. Cerca di riacquisire un peso Berlusconi con proposte strampalate e sconfessate, miranti a riabilitare l’Italicum, che “funzionerà se siamo tutti uniti” sotto una guida stabilita da lui e da lui condizionata in ogni passo.
Intanto accantonando il presidente del Milan, che, tanto per ridere, cerca un socio, che rechi capitali ma che si guardi bene dall’entrare nella “stanza dei bottoni”, arriviamo alle cose serie. Secondo una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro su elaborazione dei dati Eurostat, l’istituto di statistica della Commissione europea, la spesa pubblica, in rapporto al Pil, è cresciuta dal 47% del 2008 al 51,1% del 2014, un balzo in avanti di 3,3 punti percentuali superiore sia alla media dei Paesi dell’Ue (+1,6%) che a quelli d’area euro (+2,6%). Si lamenta poi che si sia tagliato male e soprattutto nei settori vitali, in cui si dovrebbe investire, cultura, istruzione e spese militari. A proposito è ricicciato l’ex commissario alla spending review, il quale in una sua fatica letteraria di scontato successo editoriale, ha bocciato i giudici della Consulta, per essersi aumentati la pensione, come se avessero violato norme esistenti. Per tornare all’istruzione, senza parlare della sicurezza, colpita dalle misure della Madia (ahinoi! E ahi Italia!), la spesa è passata dal 4,4% al 4,1%, dai 72,2 miliardi del 2008 mentre in Germania la aumentavano di 20,5 miliardi.
Ed è proprio la scuola ad attrarre e meritare attenzione con un editoriale di Roger Abravanel. Svela la logica aziendalistica della riforma dell’esecutivo, la stessa del Jobs act : “eliminare (almeno ridurre) le ingiustizie dei lavoratori precari ma allo stesso tempo dare più potere ai loro capi (imprenditori nelle aziende, presidi nelle scuole) nella selezione della forza lavoro: gli imprenditori possono licenziare chi lavora male e i presidi chi insegna bene”. Finalmente una persona, che parla bene ed esemplifica in maniera efficace. Qualsiasi cittadino, posto di fronte a queste spiegazioni, che codificano la precarizzazione, può allora chiedere e soprattutto pretendere garanzie sul rispetto del lavoratore e contro gli sceriffati: e se il dipendente entra per qualsiasi motivo in urto con il titolare? Ed il dirigente scolastico, adeguatamente da preparare, se è professore di materie scientifiche, come può giudicare seriamente un insegnante di materie letterarie o all’opposto di materie letterarie su materie scientifiche?
Dopo alcuni passaggi, in cui ha seguito la linea ortodossa del quotidiano, lo studioso, nato a Tripoli, coglie la condizione essenziale, avvertendo che la vera riforma della scuola deve creare “un sistema che permetta ai suoi clienti di conoscere gli istituti migliori, con valutazioni oggettive e una vera trasparenza sul valore della formazione nel mercato del lavoro. Solo allora, potrà sceglierne bene i capi – cioè i presidi – e responsabilizzarli. Perché il potere senza responsabilità è solo arbitrio”.
Il sovraccarico di lavoro può non recare la necessaria attenzione alla storia e alle radici in un’area politica. E’ il caso di Feltri, che sostiene “Se Podemos, Cinque Stelle, Lega e Syriza, perfino i conservatori di Cameron, Le Pen e i nazionalisti polacchi affermano di essere intenzionati a sbattere la porta dell’Ue”, senza dare la dovuta considerazione alla convergenza su una critica comune a settori politici contrapposti ed antitetici e non certo paralleli o assimilabili. Magari si ricordi che in Italia, oltre ai frazionisti della Lega, esiste ed opera l’unico movimento dalle salde origini nazionali, di cui ricordo a Feltri il nome, FdI.
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