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Federico Buffa: quando il calcio incontra la storia

Conversazione con il celebre giornalista sportivo su alcuni grandi personaggi della storia del calcio

di Tommaso Nuti

Federico Buffa: quando il calcio incontra la storia

Federico Buffa

Federico Buffa è nato a Milano il 28 luglio 1959 ed è un giornalista e telecronista sportivo italiano. Laureato all’Università degli Studi di Pavia in Giurisprudenza, si è sempre distinto quale  uomo di basket fino al 2013. Nel 2014 per Sky conduce “Federico Buffa racconta Storie Mondiali” per poi evolvere il suo programma a “Federico Buffa racconta Storie Campioni”, passando da uno studio a racconti on-the-road raccontando grandi personaggi dell’ambito calcistico come Puskas, Di Stefano, Maldini, George Best, Cruijff e Cristiano Ronaldo. In occasione del suo spettacolo teatrale “Le Olimpiadi del 1936” del 1 Giugno a Massa Carrara, abbiamo incontrato Federico Buffa per parlare di alcuni tratti della sua professione, della sua passione e di come alcuni campioni entrino a far parte della storia del calcio inesorabilmente.

 

Da molto tempo racconta di calcio e storia: da cosa nasce questa passione?

Il calcio èl’”esperanto” del mondo ed è l’unica reale lingua di tutta l’umanità, declinata in modo diverso, ma sempre la stessa. Raccontare storie di calcio perse nel tempo ci aiuta a raccontare la storia del secolo. Siccome il calcio è lo sport del novecento, e questo è il secolo più vibrante della storia dell’umanità, raccontato attraverso il calcio, prende sicuramente un’angolazione diversa. Ogni campione è legato alla storia del suo paese.

Arpad  Weisz  (1896 – 1944) e Ferenc Puskas (1927-2006  ) sicuramente hanno portato due cose diverse: Weisz, allenatore del Bologna con cui ha vinto due campionati italiani e il torneo dell’Esposizione Universale a Parigi e dell’Inter, l’allora “Ambrosiana”, un maestro vero e proprio; Puskas il protagonista del campo, la bandiera dell’Ungheria fra Honved (squadra locale) e Real Madrid: leggendario calciatore e futuro grande allenatore; come li definirebbe in un contesto storico?

Se si parla di Puskas, si parla inevitabilmente della storia calcistica dell’Est Europa, dell’utopia danubiana: l’Ungheria non ha mai vinto tanto, ma è fondamentale per la storia del gioco del calcio. Insieme all’Austria ha dato un contributo enorme al sistema calcistico, anche se non vengono ancora oggi riconosciute come grandi potenze. Il calcio diventa quindi una sorta di pretesto per poter parlare, in questo particolare contesto, di quella straordinaria scuola danubiana.

Dall’altro lato, Weisz insieme a Béla Guttman e Erbstein, l’allenatore del Grande Torino, ha rappresentato perfettamente il calcio magiaro, imponendosi tra i geni del calcio.

Come sempre questi ungheresi sono dei viaggiatori; il loro momento migliore non è a casa loro: Weisz in Italia come Erbstein e Guttmann in tutto il mondo. Le loro idee sono eccezionali, le loro caratteristiche umane gli permettono di comunicare concetti complessi con estrema facilità. Ancora oggi il 4-4-2 è provato da tanti, ma loro lo hanno inventato.

Un collegamento fra Weisz e Puskas?

Weisze combatté nella prima guerra mondiale,si trasferì in Italia e non tornò più in Ungheria. Puskas e Guttman tornano in Ungheria, e questo incise tanto. L’europeizzazione occidentale di Weisze è uno dei temi principali. Lui sta sempre in Italia, finché non è costretto ad andarsene.

Sebes(allenatore dell’Ungheria dal 49 al 57) disse che se la sua nazionale avesse vinto contro la Germania nella finale mondiale del ‘56, probabilmente non ci sarebbe stata la rivolta in Ungheria.

E’ bella da dire, ma non so se sarebbe stato possibile. Quel che è sicuro è che l’aggressività della popolazione dopo quella sconfitta diventò molto forte. I giocatori furono accusati di ogni nefandezza, di aver accettato regali dai tedeschi come auto, di aver preso soldi; credo che sia stata però una sfortunatissima partita di calcio, senza contare che Puskas segnò il gol del 3-2, poi annullato senza motivo, ed inoltre era zoppo. Sinceramente la partita mi piace più vederla dal punto di vista dei tedeschi, che si riaffermano come nazione in quella partita, mentre gli ungheresi non ci riescono mentre a casa loro ilcontesto politico era già forzato ed esagerato.

Se Arpad Weisz fosse vissuto negli ultimi 20 anni, cosa avrebbe portato?

Sarebbe stato sicuramente un grande allenatore per una squadra da creare, era uno che dava tanto quando c’era da creare. La sua storia e quella di Meazza sono emblematiche di questo. Il più grande futuro calciatore della storia italiana, era filiforme, un po’ come Messi (e sappiamo com’è andata a finire).  Weisz in quel tempo vide qualcosa in Meazza che lo portò a diventare quello che tutti conoscono. Questo è l’istinto del grande uomo di calcio: vedere le cose prima che entrino in corso. Vedere ciò che succederà dopo, quando l’impressione data a primo impatto dal giocatore è un’altra, è fenomenale.ì ed è ciò che manca negli allenatori di oggi.

Particolare fu il passaggio di Puskas in Spagna, al Real Madrid di Alfredo Di Stefano: in cosa esattamente fu importante il calcio?

Ferenc Puskas arrivò a Madrid non conoscendo alcuna parola dello spagnolo. E’ lì che entra in scena il calcio. Si presentò agli allenatori 10 kg in sovrappeso. Lui è la lingua del gioco: non lo volevano neppure i compagni, e date le circostanze, normalmente un matrimonio del genere non poteva funzionare. E invece la lingua del calcio è superiore, e anche giocatori di quel livello lì, dopo un po’, vedevano negli allenamenti che questo ungherese, senza articolare troppo l’anca, calciava a 120 km/h con quel pallone di allora. Calcia con un piede solo, ma con tutte le sue parti. Era sempre equilibrato per calciare.

La lingua del gioco prevalse sull’assenza della lingua reale in comune. Una bellissima storia di calcio e Ferenc Puskas in tutte le città dov’è stato ha lasciato un segno indelebile.

Quale fu l’episodio più importante della grandezza del calcio ungherese?

Ci sono locali a Budapest intitolati come la partita persa dall’Inghilterra a Wembley. Per certi versi quella fu la partita del secolo, nel senso che andare dagli inglesi, a casa loro, a dargliene sette e altrettanti al ritorno fa pensare “ma questi qua chi sono”? “Se con noi scherzano a casa nostra, cosa crediamo di essere?”. Sarebbe come se oggi il Montenegro andasse da una grande mondiale e fra andata e ritorno, segnasse quattordici gol andando in finale mondiale.

Allora perché a un certo punto si ferma questa grande scuola?

Non sanno neanche loro come sia successo. Questo è il mistero. Quando siamo andati alla Honved(squadra ungherese) a girare la storia di Puskas, un allenatore di origine italiana ci ha mostrato come ancora lo stadio sia rimasto uguale, ma spostato trasversalmente, e ci ha fatto vedere il punto in cui c’era la casa di Puskas, che era lì solo perché il papà, giocatore della Honved, trasferì la famiglia per essere vicino al campo.

Adesso qualcosa si sta muovendo di nuovo. Un imprenditore ha acquistato i diritti di Puskas e nel luogo dov’è nato, ha costruito un nuovo stadio, un gioiello: l’Accademia Puskas, l’unico vanto in questo momento dell’Ungheria. Come si vede tutto ruota intorno  quel numero 10: si vuole mantenere vivo il suo ricordo, del più grande di tutti i tempi, lui è il vero patrimonio dell’Ungheria.

La fine del calcio ungherese realmente è nel 56, ma praticamente finché Puskas è in nazionale il calcio danubiano è vivo. Dalla metà degli anni ‘60 è un declino inesorabile. E’ il bello del mistero.

Se potesse riscrivere la storia di Arpad Weisz, come la immaginerebbe?

Io penso che sarebbe diventato un grande allenatore dell’Ajax. Probabilmente avrebbe anticipato il calcio di parecchio tempo.  Dopo aver allenato in Olanda sarebbe stato chiamato da una grande squadra anticipando la nascita del professionismo sportivo. Un allenatore del genere che vinceva sempre avrebbe preso una squadra di vertice trasformandola in una squadra tecnicamente avanzata.

Ci sono stati episodi che secondo lei possono essere considerati i più importanti della storia di Weisz?

Se dovessi immaginarmelo, fu una partita. Erano gli anni della coppa Mitropa, che, utilizzando una brutta terminologia, anticipa la Coppa dei Campioni. La semifinale fu una strepitosa partita a Vienna tra Austria Vienna e Inter. Nelle fila tedesche c’era Matias Sindelar, che si suicidò dopo che l’Austria fu integrata nella Germania. Sindelar e Weisz sicuramente si sono parlati ed abbracciati alla fine della partita, vinta con due gol dell’attaccante austriaco, dall’Austria. Penso che quel momento sia stato come se oggi ci fossero nella stessa partita, ma in due sponde diverse, Mourinho e Cristiano Ronaldo: i due si abbraccerebbero segnando l’importanza della loro scuola. La partita finì 3-1, doppietta di Sindelar mentre Weisz era l’allenatore dell’Inter.

Successivamente la stessa coppa poi lui la vince col Bologna che gli stava dando tantissimo. Per qualche motivo, ed è la cosa inspiegabile della sua storia, è stato giocatore in Uruguay entrando in contatto con la scuola uruguaiana, ma dopo essere tornato, nel momento in cui è costretto ad andare via dall’Italia, anziché prendere la nave a Marsiglia, cosa che avrebbe dovuto fare, ed andarsene in Uruguay, salvarsi la vita e tornare indietro da grande allenatore, va a Parigi. Le leggi dell’epoca facevano in modo che chi lasciava il paese dovevesse lasciare le proprie cose, la casa, i vestiti e quant’altro, quindi partì senza niente. Scappa in Francia con la volontà di trovare una squadra a Parigi, non la trova e si rifugia in Olanda. Ma se avesse fattol’altra scelta avrebbe allenato tranquillamente fino al mondiale del Cile. Invece volle allenare in Europa. Quello è il bivio della sua vita. Se eri un allenatore di calcio eri clamorosamente visibile, e lì Arpad Weisz collezionò il suo più grave errore.

Oltre Arpad Weisz e FerencPuskas, ci fu un altro grande personaggio nell’ambito calcistico, Bela Guttmann.

Bela Guttman è la mia passione totale, probabilmente la più grande storia di calcio di tutti i tempi. Non è mai esistito uno così. Guttman ha anticipato Mourinho di qualche decennio. Era un tipo che amava pendersi responsabilità e si circondava di persone come lui. Ha insegnato all’allenatore portoghese varie cose, tra cui  stare in una squadra 3 anni, parla tutte le lingue dove va, come Mourinho. Si adatta alla cultura del luogo senza perdere i propri valori; entrambi si fidano di quello che sentono, scopritori di talenti mostruosi, in grado di stabilire guardando. Una lucidità perfetta. Alla fine è sepolto a Vienna e non a Budapest. Per via della maledizione del Benfica, (detta “maledizione di BélaG uttmann” iniziata nel 62, a causa dello strappo fra allenatore e società) nella finale del 90 contro il Milan a Vienna i giocatori portoghesi portarono un mazzo di fiori sulla tomba del vecchio allenatore, ma non funzionò e persero la partita. La volta successiva inaugurarono in suo onore una statua, ma anche stavolta non funzionò perché persero la finale Europa League. Mi sa che adesso gli dedicheranno uno stadio (ride). Una storia affascinantissima. Ovunque è andato in poco tempo allenava e faceva vincere una squadra. Non è possibile che un uomo riesca a capire in così poco tempo cosa serva per vincere.

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