Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
In questa situazione di caos, appaiono articoli, che consentono e riflessioni a più larga e soprattutto profonda prospettiva.
Il primo, di Michele Ainis, guarda ad un problema, che viene da lontano e che negli ultimi anni si è ingigantito, senza provocare le preoccupazioni e gli allarmi invece necessari. E’ il problema dell’astensione, “fenomeno” di cui “non sembra preoccuparsi nessuno, spesso commettendo un errore”. “Qualche dichiarazione preoccupata, qualche pensoso monito quando si chiudono le urne, ma tre ore dopo i partiti sono già impegnati nella conta degli sconfitti e dei vincenti”. I partiti, senza distinzione alcuna, pensano, si preoccupano e guardano alla ripartizione delle poltrone e all’articolazione dei seggi. “E’ un errore – osserva fondatamente Ainis – perché qualsiasi maggioranza rappresenta ormai una minoranza” e perché “se l’onda diventa una marea, significa che esprime un sentimento d’indifferenza, migliore dei casi, d’avversione, nel peggiore”. Ormai il rifiuto è trasversale ed i partiti non sanno, non vogliono e non possono cercare antidoti e contromisure. Non si vota più a sinistra per i dubbi e le perplessità crescenti sull’operato dell’esecutivo, non si esprimono più gli elettori moderati stanchi delle incertezze e delle lotte personalistiche di Berlusconi, rifuggono dalle urne gli ex sostenitori di Alleanza Nazionale, annoiati ed infastiditi dall’inconcludenza degli eredi.
Ainis avanza una proposta, a suo stesso avviso forse bislacca, quella del dimezzamento dei seggi in caso di frequenza al 50%. Esistono altri avvisi ma è indispensabile capire che in questa crescente e dilagante percentuale di astensionismo, a patire essenzialmente è la democrazia “perché il non voto ne sta essiccando le radici”. Ma si vede all’orizzonte qualcuno che sia consapevole dell’inaridimento della democrazia? Si sente qualche confessione di errore?
Ostellino smaschera dal canto suo “la confusione e la mancanza di idee nelle quali si dibatte la nostra politica dell’immigrazione che un giorno sostiene una cosa e il giorno dopo l’opposto”. Il nodo è rappresentato dall’incapacità di sfuggire “gli interessi corporativi a utilizzare gli immigrati come manodopera a basso prezzo imposti dalle organizzazioni cattoliche e da quelle di una sinistra affarista”. Finalmente con Ostellino risuona quella denunzia esplicita e puntuale che le opposizioni non sanno o non vogliono esprimere: “Renzi privilegi gli interessi corporativi, di parte, che sono, poi, i suoi e quelli del suo partito, rispetto a quelli nazionali e generali. Abbiamo un governo che l’opposto di ciò che si aspetta da lui secondo la definizione classica di politica e di Stato”. Ostellino aggiunge che l’ex sindaco di Firenze fa , al governo. I fatti suoi e quelli del suo partito […] Non fa gli interessi del Paese, un po’ perché non li sa fare, molto perché non gli conviene. Ha distrutto il Partito democratico, per diventarne segretario, sta distruggendo in Paese dopo esserne diventato presidente del Consiglio e restarci a lungo. E’ la conseguenza della crisi culturale, prima che politica, nella quale è piombato il Paese”. Peccato che di ciò non si rendano conto le forze, che dovrebbero operare per un capovolgimento, in nome di ideali e di propositi antitetici e non davvero complementari a quelli di Renzi e dei suoi cerchi magici.
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