Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Deludente risulta l’intervista rilasciata da Berlusconi al direttore de “Il Giornale” soprattutto perché il tempo sembra trascorso inutilmente e le lezioni, le sconfitte e le delusioni sembra non siano mai esistite e soprattutto non abbiano lasciato traccia.
Già il titolo interpreta l’inalterata supponenza del Cesare lombardo: “Noi, la Lega e quel che verrà”, come dire che gli altri sono destinati ad avere un ruolo di contorno, marginale, subordinata.
Nel rispondere poi alla prima domanda Berlusconi divaga con un avverbio sul tipo di opposizione da svolgere contro il governo: convintamente non è affatto sinonimo di concretamente, più adatto all’impostazione che si afferma voler sostenere.
Altrettanto sfuggente al quesito successivo: anticipa il voto favorevole nel caso in cui il Pd “presentasse qualche miglioramento della legge elettorale o della riforma costituzionale”.
Dopo aver statuito che eventuali oppositori interni dovrebbero lasciare il partito, lega in modo discutibile o comunque superficiale l’astensionismo ai tre governi scelti da Napolitano e no dal popolo c.d. “sovrano”.
Su Renzi il giudizio è pesante e scontato, anche se non deve davvero essere lui, il presidente del Milan, l’autocrate, l’egolatra, “padre padrone” di un raggruppamento fondato sulle designazioni, a distribuire patenti di illiberalismo.
Berlusconi noiosamente insiste sul successo, fondato sull’unità, raggiunto in Liguria, facendo finta di sorvolare sul malgoverno e sul frazionamento della sinistra, assolutamente determinanti nel risultato.
Esclusa tra i problemi sul tappeto la leadership, argomento al massimo scottante, affida in primo luogo a se stesso e poi in subordine agli altri, che, logicamente in fitta schiera, ordinati ed ubbidienti, lo seguiranno (a debita distanza) il compito di ridare ai cittadini delusi ed oberati dalla fiscalità “delle buone ragioni per andare alle urne”.
Il caso Venezia è colto come frutto dell’intesa e “dei nuovi protagonisti, che vengono dal mondo del lavoro” e ciò nonostante, negli anni passati, altri imprenditori, dello stampo e della preparazione di Luigi Brignaro, selezionati dal Cavaliere, abbiano fornito risultati tutt’altro che lusinghieri e duraturi e quelli di cui si parla per il futuro di Roma (tale Alfio Marchini) abbiano in più trascorsi politici “ballerini”.
“ A noi – sostiene in chiusura , in uno show di modestia – alla ottima classe dirigente che ho cresciuto, tocca organizzare l’area dei moderati, dei liberali [ancora !].
Anticipa poi che il contenitore, da lui sognato, debba essere rivolto ai partiti (Fi e Lega), (e la povera Meloni ?), “ma anche alle associazioni, ai gruppi, ai movimenti di opinione, ai cittadini non organizzati” in funzione di sherpa. Ma questo bailamme può avere nel futuro, un ruolo rilevante? La ricetta è antiquata e quindi destinata a rimanere improduttiva tanto quanto le ruspe.
Una parola di riprovazione e di disprezzo è necessaria a proposito di Marino, che ha riportato il già acceso scontro in corso nella capitale ai momenti oscuri, sanguinosi e drammatici di alcuni decenni or sono.
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