Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
omunque vada, default o meno, il braccio di ferro tra la Grecia e l’Eurogruppo due conferme le ha già date: la debolezza “strutturale” dell’attuale Unione e l’oggettiva gracilità politica dell’Unione stessa.
Non è un caso che, appena il Primo Ministro greco, Alexis Tsipras, ha chiesto di sottoporre a referendum (il 5 luglio) le proposte della Ue, l’Eurogruppo si sia trincerato dietro il fatto che “il programma di aiuti internazionali alla Grecia finirà martedì sera”, facendo venire meno ogni margine di trattativa. Debole da un lato il governo greco che alla fine non ha saputo fare altro che appellarsi al volere popolare, ancor più deboli però gli altri governi europei che hanno letteralmente sbattuto la porta in faccia al ministro delle finanze, Varoufakis, mettendo subito all’ordine del giorno le modalità di gestione del default ellenico e dei rischi di contagio.
In un colpo solo la chiusura dell’Eurogruppo ha reso palese, senza appello, l’anomalia del processo di “integrazione” monetaria dell’Europa ed il distacco tra le scelte dei vertici di Bruxelles e le “ragioni” politiche che dovrebbero essere alla base dell’Unione.
Sul primo versante il caso greco conferma come il “disequilibrio strutturale” fra il Nord ed il Sud d’Europa sia venuto accentuandosi a seguito delle rigidità finanziarie dettate dai Paesi dell’area centro-settentrionale, a trazione tedesca, con i risultati che abbiamo di fronte: non solo la crisi greca ma anche l’indebitamento dell’Italia, attraverso il perverso Meccanismo Europeo di Stabilità, le incertezze della Spagna, ora spazzata dal vento protestatario di “Podemos”, le spinte antieuropeiste dell’opinione pubblica francese, il forte indebitamento privato e societario del Portogallo (224 per cento del Pil, secondo Eurostat).
A livello politico i vertici europei appaiono sempre più lontani dal sentire dei cittadini dell’Unione. Del resto, le scelte compiute in questi anni, sulla via dell’austerità e della difesa della moneta unica, sono state condivise formalmente dall’opinione pubblica, che non si è mai espressa in merito, mentre la sola idea che il popolo greco sia chiamato a dire la sua sul salvataggio proposto ai creditori – Ue, Bce e Fmi – viene bollata come “surreale” ed esorcizzata dai sondaggi che darebbero vincenti gli oppositori di Tsipras. Nessuno che discuta le ragioni di fondo della crisi greca e non solo.
Nel frattempo su temi “sensibili” quali l’immigrazione ed in terrorismo di matrice islamica l’Unione preferisce il silenzio, lasciando l’iniziativa ai singoli Stati.
Alla fine la Grecia non è andata “alle calende”, vedendosi costretta ad onorare i propri debiti, laddove, sui temi brucianti della politica internazionale e del suo ruolo strategico l’Europa si limita al piccolo cabotaggio e alla politica dello struzzo. Due pesi e due misure inaccettabili, che rischiano di fare saltare, default o meno, Grecia o meno, le ragioni stesse dell’Unione, sempre più “matrigna” agli occhi degli europei.
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