Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
La Fittosi
Fittosi. Cosa vorrà dire questa parola? Si tratta di un neologismo, probabilmente destinato a vita breve, risultante dalla crasi di due cognomi: Fitto e Tosi, due politici di lungo corso, i cui successi sono legati ai rispettivi territori. Cosa li accomuna? L’iniziativa scissionistica portata a termine dal primo nei confronti di Forza Italia, dal secondo nei confronti della Lega Nord.Non è certo questa la prima fuoriuscita da un partito, ne’ sarà l’ultima, come dimostrano i più recenti casi di Civati e Fassina; del resto, se c’e’ una caratteristica costante della vita politica italiana, questa s’identifica con il trasformismo, nelle sue più disparate varianti.
Si cambia partito – e a volte persino coalizione – per una questione di potere, anche quando la decisione viene riferita pudicamente a motivazioni ideali, del tipo “non sono io ad aver cambiato idee”, oppure “non è per questo programma che i nostri elettori ci hanno votato”. In realtà, dando per scontato che in politica i leader più avveduti sono quelli che per primi interpretano le esigenze, i bisogni, i timori della gente, e in funzione di questi adeguano iniziative e programmi, devono in ogni caso restare ed essere visibili punti fermi non negoziabili (i cosiddetti “valori”).
Così, chi cambia casacca, il più delle volte vuole semplicemente minare un potere carismatico, all’ombra del quale magari era cresciuto, e che non riescea contrastare dall’interno; o, ancor più semplicemente, si propone di lucrare un vantaggio – magari non solo politico... – dal suo mutamento di posizione.In un fondo del “Roma” rimasto famoso, Alberto Giovannini definì “puttani”quei transfughi del Partito monarchico che fecero mancare i loro voti al sindaco di Napoli, Achille Lauro, facendone cadere la Giunta.
Qui, senza ricorrere all’invettiva, si preferisce far uso di un neologismo ispirato alla medicina; anche perché processi del genere fanno pensare più all’alterazione di una sana dinamica fisiologica che non all’infrazione di una regola di galateo o addirittura di un codice etico. Insomma, “fittosi” comenevrosi, come insorgente insofferenza per un ordine nel quale fino a ieri ci si riconosceva; fittosi come infiammazione di una parte del corpo sociale e politico, improvvisamente disconosciuto; fittosi come ossessione negativa, originata da un’appartenenza diventata intollerabile.
Le cause? Molto spesso l’ambizione, il desiderio di sostituire un capo, di lucrare un vantaggio politico, in termini di potere. Le conseguenze? Altrettanto spesso, l’eterogenesi dei Fini (si’, con la maiuscola). Di solito, gli elettori non premiano questi strappi, troppo somiglianti ai tradimenti. Glistessi beneficiari temporanei e apparenti di quei voti cambiati non apprezzano: chi ha tradito una volta, lo farà ancora. Ne’ serve da deterrente – anzi... – la ricorrente constatazione che l’uscita da un partito (ma non da uno schieramento), in occasione di una prova elettorale, si traduce sistematicamente nella sconfitta non solo della “nuova” lista, ma anche dello schieramento nel quale la stessa lista magari continua a riconoscersi. In proposito, i recenti esempi di Pastorino e Cofferati in Liguria e di Fitto in Puglia insegnano. Del resto,una delle concause della fittosi viene individuata in una certa tendenza masochistica.
Non mancano gli esempi di scissioni punite dal voto popolare: dagli ormai remoti transfughi di Democrazia Nazionale, che svuotarono i gruppi parlamentari del MSI, fino ai sostenitori di Tosi in occasione delle ultime regionali; dalla illusione di Futuro e Libertà fino all’uscita di Cofferati dal PD; dallo strappo di Alfano fino alla lista scissionista di Fitto, le urne non hanno premiato gli allontanamenti dalla Casa Madre.
Malgrado ciò, la fascinazione del morbo che abbiamo chiamato “fittosi” non smette di esercitare il suo potere attrattivo, un po’ come avviene per la droga:si è convinti di riuscire a controllare la situazione, a non diventarne schiavi, godendosi l’iniziale euforia e il piacere procurato dalla sostanza pericolosa. Poi, inevitabilmente, si precipita nel baratro, che, in politica, si identifica con l’oblio della gente che un tempo ti votava.
Le terapie? Non ci sono: all’ambizione non c’e rimedio, quando la medesima, che nel suo sviluppo fisiologico fornisce il carburante ad ogni corretto agire politico, nelle sue manifestazioni estreme infiamma e brucia risorse che sarebbero state utili al bene comune. Fittosi, insomma, come ebola: il virus appare improvviso e inspiegabile, in luoghi dove si rivela come endemico, e altrettanto inspiegabilmente scompare, indipendentemente da ogni tentativo di cura.
Sapere che esiste questa patologia serve a poco, specialmente a chi ha successo in politica, ma fornisce un argomento in più a chi coltiva il disincanto e magari cede alla tentazione dell’antipolitica.
Giuseppe Del Ninno
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