Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
1935, Swiss Gran premio
È il buon mattino del primo di ottobre del1933 e sulla strada statale Persicetana, un lungo e piano rettilineo di circa venti chilometri che sortendo da Bologna si dirige a settentrione sulla via di Verona, avviene un prodigio della meccanica italiana. Una piccola motocicletta MM di soli 175 centimetri cubi di cilindrata, e quindi della mezza cubatura d’un motore 350, stabilisce i due record di velocità con partenza lanciata sul chilometro e sul miglio. Sono superate sia pure di poco le 100 miglia orarie: 161 chilometri orari. Dalla stampa del tempo si traggono ulteriori ragguagli che danno forma pittoresca all’evento, sul passaggio di andata, il pilota dalla corporatura di fantino accoccolato sulla macchinetta ruota con disinvoltura la manopola dell’acceleratore e diretto a Persiceto vola a 165 orari. Sul passaggio di miglio e chilometro del ritorno, verso la dotta città, consapevole di aver richiesto già una qualche fatica al motore alimentato ad alcol, Bonazzi, questo il nome del pilota, traduce in una nuova versione il manzoniano adelante con juicio e corre ma con più attenzione allo sforzo impresso a cilindro e valvole: sono comunque buoni 157 orari che nella media dei due passaggi, sommati anche con i decimi e centesimi dopo la virgola, danno una media complessiva di 161 e qualcosa sufficienti a portare il record, da tempo privilegio della piccola meccanica inglese e francese, alla meccanica economica italiana. La classe 175 inerisce infatti ad una cilindrata tipica delle motociclette utilitarie che in quei primi anni 30 rappresentano il primo timido ingresso del viatore ferroviario o del ciclista nel rombante panorama delle nascenti masse motorizzate. Il Duce stesso, che come si sa è appassionato motociclista oltre che provetto pilota aviatore, si complimenta con Bonazzi per l’impresa, trascurando i rapporti di polizia che ascrivono al piccolo e coraggioso pilota delle vive antipatie verso il regime… Ma se questi sono i lacerti aneddotici tramandati dai cronisti bolognesi, ben più interessanti sono i fatti avvenuti pochi dì anteriormente al record: in una serie di prove precedenti, sempre sulla Persicetana, era avvenuto che Bonazzi fosse stato spregiudicato nel dosare il comando dell’acceleratore. La piccola rombante motoleggera aerodinamica era letteralmente volata sul primo passaggio a 176 orari! Sul passaggio di ritorno Bonazzi si era temperato e con juicio aveva fermato i cronometri a 171 chilometri all’ora. Era però avvenuto che nel cronometraggio elettrico del secondo passaggio la macchina ed il pilota accoccolato su di essa con le ginocchia ripiegate sul minuscolo sellino e in una posa a braccia tese verso il manubrio e piedi uniti poggiati su di una staffa sopra il parafango posteriore tale da rammentare l’asana, ovvero la postura, del cobra nello Yoga, fossero passati sotto il filo di lana che se si fosse rotto avrebbe bloccato le lancette del cronometro fornendo il dato ufficiale da omologare. Si rendeva così necessaria un’altra coppia di passaggi cronometrati e a questi pilota e macchina si accingevano. Ma in uno di questi il motore, di nuovo tirato oltre il limite accusava la classica rottura d’una valvola e rendeva obbligatoria l’interruzione dei laboriosi, costosi ed aleatori tentativi per tornare sconsolati, pilota e tecnici all’officina corse della MM… L’aggettivo costosi appena usato non dava solo ragione delle spese meccaniche ma pure dell’affitto della strada statale, del relativo servizio di chiusura al traffico della stessa, svolto dai militi della MVSN, ed dell’invito dei delegati della federazione internazionale motociclistica tutori dell’ufficialità del record… Qualche linea s’impone ora nel descrivere le peculiarità tecniche ed estetiche della magnifica macchinetta che, lo si vede dall’immagine, obbliga il pilota a condurla nella curiosa variante velocistica dell’asana yogica. Il telaio è costruito in duralluminio secondo delle forme che aiutino il più possibile la penetranza aerodinamica, le forcelle sono infatti profilate come il trave anteriore, mentre quello posteriore aderisce quasi alla ruota motrice, questa a disco, in modo da evitare il più possibile il formarsi di vortici d’aria. Il carter motore e l’ansa d’uscita del collettore di scarico sono schermati da carenature. Serbatoio carburante strettissimo per ridurre la superficie maestra e assenza completa del sellino, sostituito da due incavi sui quali il pilota pone le ginocchia per accoccolarsi alla conduzione della macchina che è ridotta ai soli tratti rettilinei dei record. Questa MM dall’aspetto davvero avveniristico, ha il singolare onore di essere ritratta sulla nostra monumentale enciclopedia Treccani alla voce motocicletta, forse perché il comitato apposito di redazione di allora ne aveva rilevato la straordinaria stilizzazione estetica. Ma lo stesso comitato appone una legenda vagamente ingenua all’immagine titolando:: motocicletta MM tipo corsa quando è fin troppo chiaro che con tale macchina sarebbe alquanto arrischiato cimentarsi in quale si sia tipo di corsa, null’altro eccettuato sotto tal termine che una rapida volata su di un rettilineo e nemmeno troppo lungo… Dov’è infatti un pilota che avesse l’ardire di abbozzare qualche curva veloce con questa snella motoleggera costretto a condurla nella singolare asana velocistica del cobra? Per alleggerire la macchina, giunta all’estremo limite dei 60 chili, i quali rendono effettivamente ragione dei 176 orari permessi dalla modesta potenza di circa 14 cavalli del motore, si erano addirittura soppressi gl’ingranaggi della prima e seconda marcia e l’avviamento della MM avveniva, come per un aliante, al traino d’un’altra motocicletta che la trascinava fino ad una velocità che consentisse alla terza lunga marcia l’innesto senza dei pericolosi battiti in testa al motore spinto all’estremo e quindi esposto a facili avarie… Nell’immagine dall’aura pionieristica vediamo Bonazzi, il più piccolo di statura munito di occhialoni, il secondo da sinistra è Alfonso Morini che verso la fine degli anni 30 diviene costruttore in proprio di ottimi motocarri, all’estrema destra è Mario Mazzetti, titolare della MM e progettista della macchina, un geniale perito diplomatosi all’Istituto tecnico Aldini Valeriani, la prestigiosa scuola tecnica bolognese. A lui vicino è il pesarese Dorino Serafini, il pilota ufficiale delle MM 175 nelle corse che spesso conclude nelle prime posizioni malgrado la sua corporatura robusta non lo renda l’ideale conduttore di macchinette che con soli 12 cavalli arrancano ai 140 all’ora…
Nel 1935 la Svizzera ospita ancora i grandi premi motoristici. La confederazione dove pure albergano ottime fabbriche di motociclette come la Condor Motosacoche o la Moser li abolirà dopo la tragedia del 1948 quando a perdere la vita in due incidenti a poche ora di distanza sono due celebrità come Varzi e Tenni. In quest’immagine dinamica è ritratto in curva e con l’impeccabile stile dei piloti inglesi il campione della Norton, Guthrie, sulla 500 giunta all’ultimo stadio delle monocilindriche a telaio rigido. Come si può osservare dalla fotografia l’inclinazione assunta da macchina e pilota è elevata e testimonia del grado di equilibrata disposizione dei pesi, giusta inclinazione di forcella e opportuno interasse sviluppato dagli esperti tecnici britannici, ostinati nel portare a perfezione le loro costruzioni e restii ad abbandonare le architetture per loro classiche. La motocicletta sviluppa circa 42 cavalli e, con il pilota ben disteso in posa abbassata sul serbatoio, può superare i 190 orari. Si scorge a cavallo della ruota posteriore della Norton, nel settore compreso fra sella, trave posteriore verticale del telaio e l’ingabbiatura che arriva al mozzo della ruota, tutta una fasciatura in gomma nera messa ad evitare che gocce di lubrificante gettate dalle catene di trasmissione primaria e secondaria e rimbalzanti sulle gambe del pilota possano imbrattare i confini laterali del battistrada del pneumatico, un fatto che potrebbe causare pericolose scivolate in curva.
Siamo ancora nel 1935 ed è ritratta l’atmosfera dei pochi istanti prima della partenza d’un gran premio internazionale della classe 500. In primo piano un pensoso Guthrie sulla Norton a telaio rigido. Il pilota a lui prossimo, sulla argentea NSU pare osservare con noncuranza l’unica bicilindrica della prima fila, la bella Husqvarna 500. Il circuito è stradale e, nel tratto della partenza, addirittura pavimentato a tasselli di porfido.il pubblico visibile sul fondale al lato sinistro dopo il muro sembra assieparsi sul ciglio del rettilineo senza la minima protezione d’una transenna.
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