Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
La DKW Ure 250 qui ritratta in una assai differenziata versione per i record con partenza da fermo. Queste sono prove che devono mettere in rilievo le capacità di accelerazione del mezzo. Si potrebbe dire davvero strana la cura eccezionale che è stata dedicata alla schermatura aerodinamica d’una macchina il cui scopo non è di eccellere in velocità e però uno sguardo ai dati cronometrici della riuscita conquista del primato rende ragione dello sforzo profuso. La straordinaria curva di potenza del piccolo propulsore monocilindrico a cilindro sdoppiato e sovralimentato da cilindro pompa con ammissione a membrana elastica si esplicitava in alcuni dati che risultano interessanti ancora oggi se riferiti ad un motore dalla cubatura così modesta: erogazione massima di circa 24 cavalli al regime di 4800 giri con regime massimo raggiungibile, e non però oltrepassabile, di 5000 giri al minuto. La macchina possedeva la consistente potenza di 20 cavalli disponibile alla ruota già intorno ai 3500 giri, la qual cosa spiega la straordinaria accelerazione del mezzo riferita dalla stampa del tempo. La Ure 250 da corsa che si è descritta in una precedente serie di capitoli motociclistici correva nei rettilinei del 1935 a buoni 165/170 chilometri orari come ricorda nelle sue memorie Arthur Geiss che fu un bravo pilota ufficiale della casa costruttrice sassone; questa 250 da record è cronometrata sugli ultimi 600 metri del miglio con partenza da fermo ad una media di circa 174 orari. Ma trattandosi d’una prova di pura accelerazione, nella quale è importante che il propulsore sia sempre in erogazione di potenza, è plausibile che la velocità massima della macchina al traguardo finale del miglio fosse superiore, pure se non di troppo, al valore calcolato sull’ultima media. Di qui si comprende la cura aerodinamica della motocicletta. Essa è stata sperimentata con la schermatura visibile dall’immagine nella galleria del vento e i dati, comunicati dal Koenig-Fachsenfeld, attestano una diminuzione della resistenza aerodinamica pari a circa il 10 per cento di quella verificata sulla macchina da corsa nuda. Per quanto possano sembrare apparentate, la versione da record e la motocicletta da corsa restano in ogni caso differenziate e di molto. E non solo nella parte ciclistica con l’evidente adattamento d’una schermatura che fa somigliare il mezzo ad un fuso su due ruote, quanto proprio nel propulsore: rammentiamo infatti che una caratteristica delle DKW è l’aver il voluminoso radiatore di raffreddamento posto in capo al telaio appena dietro il cannotto di sterzo e sotto il serbatoio del carburante. In tale posizione il radiatore per la sua forma di piatto rettangolo esposto alla corrente è responsabile d’un aumento di resistenza aerodinamica ben verificabile. Intorno al 1932 o 1933 una Puch 250 a due tempi e raffreddata ad acqua in modo simile alla DKW aveva asportato il radiatore per una brevissima corsa sul chilometro lanciato ed aveva raggiunto i 140 orari impossibili alla stessa macchina se munita del radiatore. Memori della prova austriaca documentata dalla vivacissima stampa del tempo, alla DKW si pensò di aggirare il problema della necessità di raffreddare la parte termica del propulsore costruendo un cilindro la cui camicia esterna fosse un cilindro di sezione ovoidale di ampio volume entro il quale una cospicua quantità di acqua potesse con i suoi moti convettivi scambiare il calore lambendo l’ampia superficie confinante con l’esterno investito dalla corrente d’aria. Il risultato fu raggiunto perché la DKW conquistò un’ambita serie di record durati a lungo nel tempo. Nell’immagine fotografica si vede quale fu la cura posta alla schermatura aerodinamica: steli di forcella e montante anteriore del telaio profilati, ogiva alla testa di forcella, blocco motore carenato dal quale solo esce il cilindro a sezione ovoidale che a sua volta lascia dipartire i due tubi di scarico a tromboncino. Si vede sul lato del cilindro un condotto di ammissione che non posso dire se esso provenga dal cilindro ausiliario che svolge l’ufficio di pompa di sovralimentazione o sia semplicemente un deviatore secondario per l’acqua di raffreddamento. Si vede poi come sia ben carenata la parte posteriore della macchina, con un guscio simile a quello visto in un capitolo precedente nella Brough Superior Pendine e la ruota motrice a disco. Permane, per un curioso contrappunto obsoleto, la leva del cambio a mano sul fianco sinistro del serbatoio. Qualche dato sul record non è inutile: il chilometro con partenza da fermo è percorso in 27,9 secondi ad una media di 128,634 chilometri orari. Il miglio, sempre partendo da fermo, è coperto in 40,45 secondi pari ad una velocità media di 143,229 orari. Effettuando la differenza dei tempi si ricava che gli ultimi 609,34 metri del miglio erano percorsi dalla macchina in circa 12,56 secondi i quali danno la considerevole media di 174,65 chilometri l’ora.
Recita il volantino pubblicitario “still a year and a half ahead” ovvero “nuovamente in anticipo d’un anno e mezzo” nel presentare la Brough Superior SS 80 della serie 1936. La macchina è la solida sorella cadetta della celebre SS 100 e si distingue da questa per un quieto motore a valvole laterali atto a spingere la motocicletta a circa 130 chilometri orari, le 80 miglia orarie garantite dalla Casa costruttrice. Inappuntabile è il livello di finitura del mezzo così come la cura estetica. Ma la motocicletta si volge ad altra clientela da quella rappresentata dai gentlemen drivers che desiderano primeggiare in velocità. Essa è infatti assimilabile ad un buon cavallo da tiro e chi la acquista spesso, se non sempre, la correda d’un bravo carrozzino, il side-car con il quale percorrere le belle strade degli Highlands in cerca d’un angolo pittoresco nel quale sostare per un pic-nic. Oppure la usa in combinazione side-car come robusto mezzo per la propria attività di moto taxi nelle cittadine di provincia. Il possente bicilindrico da un litro di cubatura non permette cavalcate veloci ma dispone grazie al sistema di distribuzione a valvole laterali d’un ottimo tiro fin dai regimi più bassi che risparmia al pilota il continuo dover ricorrere all’uso del cambio che può rivelarsi faticoso e usurante nel traffico a velocità ridotte dei centri cittadini. Pure se disponibile anche con telaio elastico la SS 80 è qui raffigurata a telaio rigido, la configurazione più classica per una motocicletta con carrozzino del 1936.
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