Editoriale

La questione veneta. Se il diritto al secessionismo è una forzatura

Potrebbero invocarlo anche altre regioni ma dove vanno a finire i valori di solidarietà? Il vero problema è l'amministrazione dello stato a livello centrale per ridurre le sperequazioni

Vincenzo Pacifici

di Vincenzo Pacifici

Professore ordinario di Storia Contemporanea Roma La Sapiena

’ avvertito molto spesso come necessario e giovevole il desiderio di allontanarsi dalla politica, dalle prepotenze del “premier” (ultimi esempi il caso Azzollini e la riforma della Rai), dagli attacchi purtroppo sterili ed improduttivi (v. Mentana, che lo considera simile ai vecchi politici) e dalle dispute disdicevoli, per essere buoni, nel mondo ormai aeriforme della destra con scontri polemici addirittura su argomenti di data incerta, come la candidatura alla presidenza della Regione Sicilia di un giornalista, prototipo dell’impoliticità.

   Capita perciò di rifugiarsi nella lettura di saggi tanto criticabili quanto interessanti su un argomento, sul quale le riserve sono abbondanti e capillari. Alludiamo al pamphlet di Ettore Beggiato, Questione veneta. Protagonisti, documenti e testimonianze, edizione Raixe Venete. L’autore è apertamente – come ci dimostra la sua produzione – schierato per il secessionismo e per il separatismo con libelli denigratori. Secondo un recensore, più che benevolo acritico, “l’obiettivo dell’autore è aiutare a comprendere il profondo malcontento di un Veneto che continua a non sentirsi a proprio agio all’interno delle istituzioni italiane”, tanto da arrivare a chiedere un voto popolare per la costituzione di strutture indipendenti.

   La forza indubbia del movimento di quella regione nasce dal radicamento disgregante del leghismo, presente ed operante con grinta da decenni, e dalla contemporanea assenza, o meglio dalla fuga, dello Stato, come si è dovuto amaramente ed aspramente rilevare in occasione dell’ultima calamità naturale.

   Tale diffusione manca di fonti credibili ed appare nel XXI secolo astratta e velleitaria. D’altra parte è proprio per le spinte, forti e penetranti, del separatismo, cui non si contrappongono forze nazionali, orgogliose dell’unità della Patria, se il fenomeno ha conquistato spazio.

   Uno spazio, che potrebbe pur esistere, dati gli analoghi precedenti storici, in Lombardia, in Toscana, nel Lazio, in Campania ed in Sicilia. Eppure il Meridione vive senza alterigia e senza spocchia il suo destino irrisolto e difficile. Lo testimoniano due lavori, solidi per dignità espositiva e per lucidità propositiva, Sud, vent’anni di solitudine di Giuseppe Soriero, e Sud d’Italia. Una risorsa per la ripresa di Adriano Giannola.

   Non guasta davvero ricordare che nella regione il numero dei votanti al primo scrutinio nelle consultazioni politiche del 1866, del 1876 e del 1880 è il maggiore tra quelli dell’Italia settentrionale.

   I veneti hanno espresso in maniera non superficiale e non meramente emozionale il loro appoggio alle idee ed alle lotte unitarie. Una testimonianza commovente ed eloquente di fronte all’invasamento, è recata da Paolo Lioy (1834 – 1911), più volte deputato e poi senatore, nelle sue Rimembranze giovanili: Vicenza e Padova 1856 – 1858 (Vicenza, 1904): “V’era nell’aria un rumore di catene, un suono cupo di martelli che innalzavano patiboli. Dietro alle ferree porte di Josephstadt ci guardavano Finzi e Cavalletto [Alberto, padovano], dagli ergastoli napoletani Spaventa, Settembrini e Poerio. Le ombre di Tito Speri, di Tazzoli e degli altri appiccati di Mantova venivano a sedere nei nostri convegni. Era una profonda notte e un immenso silenzio, dietro cui si sentiva palpitare qualche cosa di sublime, di amoroso, di mistico: la patria. L’aurora dell’indipendenza indorava le cime, si presentivano, si respiravano le aure di libertà”. 

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