Sport

Il fallimento degli atleti italiani ai campionati del mondo è il fallimento dell'Italia

Smantellati i gruppi sportivi dell'esercito non esistono quelli universitari e i risultati sono quelli di un paese sull'orlo del fallimento

di Vincenzo Pacifici

Il fallimento degli atleti italiani ai campionati del mondo è il fallimento dell'Italia

E’ il caso di affrontare, dopo l’esito scandalosamente negativo dei campionati del mondo di atletica leggera svoltisi a Pechino, il tema sportivo, solo apparentemente leggero e marginale. Il presidente della FIDAL, Alfio Giomi, lo definito “il peggiore della nostra storia”, aggiungendo la profonda delusione “Non solo per i risultati, ma per l’atteggiamento mentale. E’ stato un mondiale senza alcuni dei nostri n. 1, fermati da infortuni, e in cui, a parte poche eccezioni, è mancato quello spirito, quel volersi battere al meglio delle proprie possibilità”.

   Parole gravi ed impegnative che fotografano e sintetizzano una situazione, che scavalca il dato meramente sportivo per entrare in quelli del buon senso, dell’onestà morale, dell’educazione e dell’amore della bandiera e per la bandiera.      Enormemente hanno influito lo smantellamento dei gruppi sportivi militari e la liquefazione dell’educazione fisica nelle scuole anche per la cronica mancanza di idonee strutture (piscine e campi di atletica) ma anche un condizionante professionismo. Non è possibile in questo ambito dimenticare che le stelle più luminose della nostra atletica, Livio Berruti, Pietro Paolo Mennea ed Alberto Cova, erano laureati, e hanno raggiunto  importanti mete nella vita professione ed in quella pubblica. D’altra parte la scuola, egemonizzata dalla sinistra e snobbata dal centro berlusconiano, vive, e non da oggi, nel più grigio appiattimento e non educa più alle sane e corroboranti competizioni nell’area didattica ed in quella sportiva. 

   A nulla sono serviti i cosiddetti “naturalizzati”, che costano molto per la cura e per la preparazione senza produrre – come si è potuto constatare - effetti lusinghieri.

   Aldo Cazzullo nel suo editoriale sul “Corriere”, “Piste di atletica senza italiani specchio di un Paese”, compie un’analisi generica e superficiale, seppur amara, in cui non sono indicate le cause e tanto meno le responsabilità. “E’ – scrive – che la fatica ci fa sempre più paura. E avanza l’idea che il sacrificio non serva a nulla, che la partita sia già giocata e perduta”, senza dire che ciò avviene perché la scuola è lontana dall’essere palestra anche per la vita, grazie alle politiche seguite dai governi sia di centro deboli e proni alla sinistra, sia di centro – destra distratti e disattenti.

   Cazzullo continua, ammettendo che “mai come stavolta lo stato comatoso dell’atletica sembra rispecchiare l’umore di un Paese depresso, abulico, arrivato quasi al disprezzo di se stesso”. L’editorialista, dopo aver stilato la diagnosi, si guarda dal conoscere ed accertare l’eziologia. D’altro verso non ci può e non ci deve sfuggire che il “presidente del Consiglio”, oltre a pavoneggiarsi e a strumentalizzare il più insignificante successo degli atleti azzurri non ha mai perso tempo nel tracciare efficaci linee operative per le necessità e  per le eventuali, enormi, carenze del mondo sportivo. 

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