Editoriale

Dopo le liti l'Ugl rilancia la partita del sindacato a favore dei lavoratori

Non è un fattore di ritardo nella storia del Paese, ma piuttosto un fattore di tutela dell'equità

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

iprendiamo il discorso sull’Ugl, alla luce delle recenti determinazioni del Consiglio Nazionale della quarta confederazione sindacale, che, sabato scorso, ha rieletto Segretario Generale Francesco Capone, dopo che il Tribunale ordinario di Roma il 6 agosto aveva annullato per la seconda volta l'elezione dello stesso Capone accogliendo il ricorso presentato dal candidato-segretario dell'opposizione, Salvatore Muscarella.

In una nota la Confederazione sottolinea la ritrovata unità interna: “la candidatura di Francesco Capone ha avuto il sostegno di 24 Federazioni nazionali e di diverse altre strutture nazionali che rappresentano più del 90% dell'organizzazione. Capone ha ottenuto 136 voti, rispetto al quorum fissato dal giudice a 127 e corrispondente ai due terzi del Consiglio Nazionale”. Capone ha sottolineato che “ora si apre una nuova fase che vedrà l'Ugl sempre più protagonista e presente nel difendere i diritti dei lavoratori”.

Sarà la volta buona? Ce lo auguriamo, anche perché non siamo tra quelli che – “da destra” – sono impegnati nella distruzione della rappresentanza sociale, organizzata attraverso le strutture sindacali, e plaudono alle dichiarazioni di Giorgio Squinzi, il presidente di Confindustria, che, alla Festa dell’Unità di Milano, ha accusato il sindacato di essere un fattore di ritardo del Paese.

La questione è troppo seria per essere ridotta a qualche battuta, peraltro condivisa dalla classe dirigente renziana. Per questo continuiamo a seguire i “travagli” interni all’ Ugl, non senza registrare – con soddisfazione – ulteriori interventi sul tema (si vedano al riguardo gli articoli di Giuseppe Del Ninno e di Stefano Cetica, pubblicati recentemente da “Totalità”), che pongono, con chiarezza – “da destra” – il perimetro ideale del sindacalismo nazionale e la visione “non liturgica” di un sindacato che voglia essere realmente rappresentativo degli interessi dei lavoratori ed insieme capace di “farsi carico” delle trasformazioni socio-economiche nazionali, senza abdicare al suo ruolo di “avvocato” – usiamo l’immagine di Cetica – dei soggetti deboli “che si aspettano da noi cose molto concrete: un contratto migliore di quello che hanno, la tutela delle condizioni igienico sanitarie del luogo di lavoro, l'osservanza delle normative sulla sicurezza, la difesa da eventuali prepotenze o errate interpretazioni delle norme da parte del datore di lavoro, la gestione del proprio risparmio previdenziale, sia se depositato presso l'Inps o in un Fondo integrativo di categoria, un orario di lavoro sempre più adattato alle esigenze di cura della famiglia e della persona”.

Al di là delle doverose battaglie contingenti è sulla scia di una ricca tradizione culturale e di una concreta visione dei rapporti sociali che il Sindacalismo Nazionale, nello specifico l’ Ugl, può svolgere un ruolo di avanguardia all’interno del più vasto fronte sindacale, in particolare sui grandi temi della rappresentanza sociale, della riforma istituzionale e della realizzazione di mature forme partecipative.

A chi accusa il sindacato italiano di essere un “fattore di ritardo” può essere, in definitiva, opposto non tanto un generico richiamo conflittuale quanto la   disponibilità a costruire una reale partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende: una via trasparente e concreta, già realizzata in vari Paesi, e capace di costruire coesione sociale e buona occupazione, modernizzazione aziendale e politiche distributive della ricchezza.

Riuscirà l’Ugl in questa impresa? Le idee ci sono. La volontà di impegnarsi anche (come ha dimostrato l’encomiabile “campagna  d’agosto”,  nelle piazze, contro il decreto Poletti sulle pensioni).

Finalmente legittimata dal nuovo voto interno sta ora alla classe dirigente dell’Ugl di dimostrare, nei fatti, di essere all’altezza delle sfide sul tappeto, aggregando intorno a sé un consenso non formale. Vinta la battaglia interna, si tratta ora di rilanciare quella esterna, giocando a tutto campo una partita difficile, ma affascinante, che riguarda insieme il destino del sindacato e quello dei lavoratori italiani, con un occhio ai più generali interessi nazionali.

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