Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
ino a qualche tempo fa ognuno di noi aveva delle piccole certezze, poca roba, ma sufficiente a rassicurare almeno un poco nel percorso faticoso dell’esistere. La famiglia, magari scalcagnata, litigiosa, talvolta pesante. Il lavoro: il più delle volte frustrante, malpagato ma in grado di assicurare il pagamento dei conti. Qualcuno (molti in realtà) credeva anche nelle istituzioni tribunali, amministrazione, burocrazia che per quanto con lentezza e pesantezza pachidermica alla fine sistemavano le cose secondo giustizia.
Infine una parte di italiani credeva nella politica, si divideva secondo il vecchio modello delle ideologie, fieramente avversava il portatore di idee diverse, il più delle volte in maniera poco intelligente (in senso etimologico) ma con una passione che faceva parte del piccolo mazzetto di certezze.
Dimenticavo, gli italiani di dividevano anche in nordisti e sudisti. L’antimeridionalismo del nord spregiava la pigrizia del sud, e viceversa nell’Italia meridionale si cercava il riscatto alla cattiva fama si scappava verso regioni più attive, o si rivendicava orgogliosamente l’identità culturale millenaria contro l’iperattivismo economico del nord. Insomma una faccenda tutto sommato accettabile (con una parte di eccessi riprovevoli ovviamente) quasi equilibrata, e per il nostro paese fisiologica.
Poi tutto è cambiato.
La famiglia si è disgregata, nessuno crede più nel valore del sacrificio dell’assunzione di responsabilità, nel senso del dovere, così ora si pensa di sostituire la famiglia tradizionale con un surrogato omogenere, gli si dà un nome degno del peggior lessico burocratico e orgogliosamente ci sentiamo al passo con i tempi. Moderni, impregiudicati, liberi, giusti contro ogni diseguaglianza.
Del lavoro non mette conto parlarne, non c’è e quando c’è non assicurerà una vecchiaia tranquilla ma solo un futuro di miseria senza pensione, o con un vitalizio tale da non assicurare una dignitosa sopravvivenza.
Che dire delle istituzioni? Una dèbacle totale, ormai ne abbiamo paura, anzi vero e proprio terrore, siamo piombati in una dimensione che neppure Kafka aveva potuto immaginare a questi livelli. Non abbiamo più diritti ma solo obblighi infiniti che ci stritolano in un circuito vizioso. Solo per far un esempio recente: ci costringono a fare file mostruose di qualche ora per ritirare un atto di notifica di Equitalia che ci chiede di pagare qualcosa e per farlo ci obbligano pure a pagare un tanto a notifica (accade a Roma).
E la politica? Non pervenuta. Nel senso che apparentemente impazza, si manifesta in dibattiti infiniti e noiosissimi sulle reti nazionali, con dichiarazioni contraddittorie (un giorno i posti di lavoro sono aumentati, quello seguente si scopre che le cifre sono gonfiate del doppio, e il successivo che è un trionfo di successo della riforma del lavoro, e via così all’infinito). Soprattutto si distingue per lo scialo di parole altisonanti e virtuose cui non fanno riscontro i fatti.
Ma quel che è peggio è che ciascuno di noi non sa più cosa pensare. Finite le ideologie avevamo provato ad affidarci a chi manifestasse progetti e programmi (economici, culturali, istituzionali) che ci convincevano. È stato un disastro.
Ancora parole, parole, parole, immancabilmente tradite dai fatti.
Non esistono più priorità, ma emergenze occasionali che di volta in volta assorbono l’attenzione di chi ci governa in maniera scombinata, e guai a protestare.
Facciamo l’esempio dei migranti. Oramai è un problema globale che investe tutta l’Europa, bisogna farci i conti senza nascondere la testa sotto la sabbia, è vero. Nonostante il fenomeno fosse ampiamente prevedibile quei geni dei politici e amministratori di tutta la Ue si sono fatti cogliere alla sprovvista, ora balbettano di soluzioni improvvisate e improvvide, squinternate e demagogiche. Qualcuno cerca di difendersi (sì difendersi perché è lecito difendersi da una vera e propria invasione di poveretti ai quali non possiamo assicurare tutela e sopravvivenza non riuscendo neppure a garantirla ai cittadini europei , non parliamo di quelli italiani), muri improvvisati, barriere di filo spinato, blocco dei trasporti fra gli stati, sospensione di fatto degli accordi internazionali all’interno della Ue.
Ma il vero problema qual è? Quale lo scandalo che fa strillare come anatre le anime belle? L’ignominia europea è costituita dal fatto che qualcuno, nel disperato tentativo di organizzare le masse innumerevoli di migranti che non parlano le lingue europee, che non sappiamo né possiamo distinguere in base ai tratti somatici, che non dichiarano chi sono, e non vogliono farsi identificare, qualcuno, dicevamo, ha pensato di scrivere con un pennarello un numero progressivo sulla mano o sul braccio di ciascun migrante per procedere con una sommaria distinzione fra loro.
Apriti cielo! Si è invocato il tatuaggio identificativo dei campi di concentramento nazisti!
Una follia ideologica che indigna e dovrebbe indignare prima di tutto gli ebrei che di quei campi furono le principali vittime.
Come si fa a paragonare il processo di schedatura tatuata sul polso di migliaia di disgraziati deportati con la forza e contro la loro volontà (ça va sans dire) destinati alla morte, con un numero impresso con un pennarello sul braccio di clandestini giunti volontariamente alla ricerca di un futuro migliore?
Perché va bene marchiare con un timbro sul dorso della mano o sul polso l’entrata in discoteca di migliaia e migliaia di ragazzetti, e diventa uno scandalo se la stessa procedura viene applicata con i medesimi intenti (badate bene, perché il fine è il solito mutatis mutandis) a dei migranti che cercano di entrare nei nostri paesi? Cosa cambia?
Ovviamente niente, ma ormai qualunque cosa venga messa in opera nei confronti dei migranti, che non sia accoglienza indiscriminata, tappeto rosso, soldi ecc. ecc (che noi e i più poveri o sfortunati di noi non possono neppure sognare di avere) genera lo scandalo dei soliti benpensanti ipocriti e in mala fede.
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