Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Professore ordinario di Storia Contemporanea Roma La Sapiena
n questa fase della politica infausta, perché dominata dai superficiali boriosi e dagli incompetenti inguaribili, viene da ripercorrere, ripensandole ad alcune pagine del XX secolo, che hanno lasciato una traccia profonda ed indelebile nella storia della nostra nazione. In questa occasione ci occupiamo della cosiddetta “legge truffa”, migliore e meno stridente democraticamente rispetto all’”Italicum”, varato in sintonia da Renzi e Berlusconi.
Il progetto di legge viene presentato, dopo discussioni e dispute lunghe ed animate tra la DC ed i partiti minori, secondo la Piretti “parte imprescindibile”, il 21 ottobre 1952. Oltre alle motivazioni, che fanno dipendere l’instabilità governativa dal metodo proporzionale, puramente strumentali in quanto tra il 1948 ed il 1952 le crisi sono state soltanto due, la relazione del ministro dell’Interno Scelba si preoccupa di denunziare l’aggressione alla fresca e fragile democrazia, dovuta alla “presenza di massicci partiti totalitari, ferreamente organizzati, legati da vincoli disciplinari e politici verso governi stranieri”. Il parlamentare siciliano, già impegnato nel varo e nel rispetto di giugulatorie misure contro la destra, usa inspiegabilmente un equivoco plurale.
A conclusione di un lunghissimo dibattito, rimasto emblematico nell’intera storia parlamentare del dopoguerra, la legge n. 148 del 31 marzo 1953 prevede il collegamento o apparentamento di liste, pur presentate separatamente (ecco la differenza radicale con le disposizioni Renzi – Berlusconi), e stabilisce l’assegnazione di un premio di maggioranza (2/3 dei seggi, pari a 380 contro 204 delle minoranze) al gruppo di liste legate, dopo il raggiungimento della maggioranza assoluta dei suffragi. Alle elezioni le opposizione di sinistra e di destra, quasi sempre ignorate dalla storiografia, si presentano nel segno di una identica contrapposizione alle norme definite “legge truffa”.
I partiti di destra – monarchici e missini – vivono il momento migliore per la serietà dialettica e concretezza dell’intera loro parabola politica, lontani dalla mortificante definizione data loro da Enrico Mattei di “partiti taxi” e da operazioni squalificanti o inutilmente provocatorie, come quella a sostegno del governo Milazzo in Sicilia o come quella, muscolare, dell’appoggio al governo Tambroni, vissuta da inconsapevoli strumenti degli scontri intestini alla DC.
La clausola dell’assegnazione del “premio di maggioranza” non scatta per soli 57 mila voti. Le liste “collegate” (DC, PSDI, PLI, SVP, PS d’azione) infatti raccolgono il 49, 8% dei suffragi. L’elettorato, ricordando che il polo degli “apparentati” aveva raccolto il 18 aprile 1948 il 62,4%, decreta una evidente bocciatura della riforma ed un consenso altrettanto eloquente per il proporzionale puro.
Di notevole rilievo ma destinato a rimanere privo di conseguenze sostanziali, è il doppio balzo del PNM (+4,1% e 40 seggi) e del MSI (+3,8% e 29 deputati), che si traduce in un eloquente scavalcamento dei partiti “laici”, condannati da allora a vivere in una posizione subordinata e di contorno.
Il risultato negativo con la bocciatura subìta dal progetto di una democrazia “protetta” ha come epilogo traumatico non solo l’abrogazione (luglio 1954) delle norme “maggioritarie” ma anche e soprattutto il tramonto di Alcide De Gasperi, “uomo solo”, dovuto alla fratricida lotta delle correnti interne allo Scudo crociato, unite comunque da una simpatia profonda quanto viva per la sinistra e da un’ostilità ugualmente profonda e viva per la destra .
Inizia da allora un’”altra storia”, sempre meno ricca di idee e soprattutto di principi.
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