Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Ponte Nuovo
Sul ponte, alternare di continuo lo sguardo volgendolo prima a settentrione e poi a mezzogiorno è conseguenza della prospettiva aperta dal corso secolare delle acque. L’Adige arriva alla città all’incirca da occidente e vi segna una grande doppia ansa che ha l’apice meridionale nel lambire le mura del Castello Scaligero e quello settentrionale proprio sul tornante di acque che imbocca la direzione verso il ponte su quale mi trovo. A quest’apice settentrionale vi si transita da Ponte Pietra, il cui approdo sulla riva sinistra è ad alcuni passi dal Teatro Romano. La corrente, dopo aver bagnato le fondamenta dell’antico luogo volge rapida a mezzogiorno.
La sera è inoltrata ma alti nel cielo gli strati superiori delle poche nubi che si intravedono nella compagine notturna hanno ancora il lato occidentale sfumato dal celeste. Sono le ultime irradiazioni del sole che è tramontato da tempo oltre la pianura lombarda ma ancora riesce a dar flebile traccia di sé. Sul ponte i quattro lampioni brillano e così le luci dei lungadigi in fuga verso la collina che si leva dalle gradinate del Teatro Romano. Si intravede l’ultima arcata del limitrofo Ponte Pietra illuminata dai fari, il semaforo sulla strada che separa il Teatro dall’argine alterna il rosso al giallo e al verde, sulla collina sono accese le luci del castello eretto dagli Austriaci e quelle di poche case immerse nell’oscurità. La massa cupa del castello in alto, il profilo della collina e dei rilievi prossimi si staccano dall’oscurità trasparente del cielo. Il panorama è d’una bellezza che non lascia insensibili, alcuni altri passanti e qualche turista, pure loro in sosta sul ponte, inquadrano con le loro macchine fotografiche il quadro costellato dalle luci e dai riflessi luminosi sulle acque. Si intravedono oltre la corona di case d’intorno, sulla riva veronese, il campanile pinnacolato di Santa Anastasia e la lanterna illuminata della Torre dei Lamberti. Sulla riva di Veronetta la facciata in mattoni bruni della chiesa dedicata al santo cantuariense è irradiata dalla luce dei fari e dietro di essa si scorge nell’ombra il campanile, pure pinnacolato, che svetta ad indicare la massa trasparente del cielo notturno.
D’un tratto un fruscio nell’aria rivela un solitario airone cinerino che a lento remeggio vola levato di pochi metri sopra i lampioni del ponte verso il suo rifugio notturno seguendo il corso delle acque. Brillare di color grigio delle ali. Ne inseguo con gli occhi il tragitto voltandomi a meridione; prestissimo lo perdo di vista: il piumaggio grigio e grigio scuro quasi nero si confonde subito con l’oscurità. Sui lungadigi che vanno in linea retta verso il Ponte delle Navi e poi verso il Ponte Aleardi, le luci accese dei lampioni vanno in fuga con le loro immagini riflesse sulle acque verso l’aperta pianura che si immagina oltre l’indistinto delle ultime luci e degli ultimi profili appena distinguibili di edifici ed alberi.
Guardo per un’ultima volta il panorama di settentrione e cerco sulla riva di Verona la casetta dove nacque Berto Barbarani. La si vede a malapena, lei piccola, occultata dal filare di alberi.
Mi avvio sul lungadige di Veronetta verso il ponte delle Navi, dipinto dal Bellotto in una celebre tela, ora a Dresda, quando ancora dalla sua prima arcata, prossima alla riva sulla quale cammino, si levava una snella torretta. Sulla riva opposta presto fanno capolino i pinnacoli della chiesa di San Fermo Maggiore accompagnata dal suo campanile. Sullo stretto marciapiede ombreggiato da tigli, dopo aver incrociato vari passanti silenziosi, faccio luogo ad una nonna che tiene per mano una bambina. Dopo uno slargo sul quale si affaccia una casa patrizia dall’intonaco bruno e dal portone incorniciato da un marmo iscurito, il lungadige si restringe e dal marciapiede sull’argine posso addirittura vedere dalle finestre illuminate l’interno d’un appartamento sul piano di ammezzato d’un palazzo. Quadri appesi alle pareti con ordine e buon gusto.
Arrivato al ponte delle Navi mi inoltro di qualche passo sulla prima arcata ed un’ultima volta mi fermo ad ammirare i due panorami sull’Adige, la lenta discesa verso la bassa e la collina sul Teatro Romano con la giostra bilatera delle luci riflesse sulle acque. E rammento ancora la casetta di Berto che so a vegliare il corso maestoso del fiume, là in fondo, a monte e di poco oltre il Ponte Nuovo, prossima all’arca di Cangrande.
Imbocco la via San Paolo che si allarga dopo una breve salita nella via XX settembre. Quest’ultima è un rettilineo lungo oltre un chilometro, che conduce alla porta orientale delle mura, a capo della strada per Vicenza. La piccola stazione periferica si trova in quei pressi.