Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Santa Alleanza dei Troni
La via XX settembre è quasi deserta. A parte alcuni bei palazzi antichi che vi si affacciano, forse settecenteschi, il resto appare fatiscente e abbandonato. Casette dagli intonaci stinti, una chiesa sconsacrata e sbarrata, sbrecciata e cadente, portoncini sgangherati. Per fortuna arrivo alla Porta e, di lì, mi inoltro per il viale alberato da platani che porta alla stazione.
L’ultimo treno locale per Vicenza e Venezia arriva sferragliando. Saliamo in pochi e prendiamo posto nel convoglio semivuoto di viaggiatori. Sono di poco passate le ventidue e trenta. So che a Vicenza mi attende una casa ospitale e la possibilità sempre grata di aggiornarmi sulle ricerche di Roberto, che alterna il suo ufficio di impiegato nell’amministrazione pubblica alle ricerche storiche sulla regione bassanese e sul Grappa.
Il treno corre lungo la campagna estiva. Vedo solo le luci delle località limitrofe alla ferrovia, di case e automobili isolate sfuggire sul finestrino come immagini proiettate a troppa velocità su di uno schermo cinematografico. Malgrado questo le linee che si intuiscono del paesaggio, date dalle luci sullo sfondo lontano e dalla massa oscura ma trasparente dell’aria notturna mi appaiono belle. Alle impressioni che balenano dallo scorrere del paesaggio associo il ricordo delle pagine del viaggio in Italia di Wolfango Goethe. Il poeta del Faust aveva annotato la bellezza della pianura intermessa fra Verona e Vicenza ch’egli aveva traversato, nella medesima direzione che sto percorrendo, con una diligenza un mattino di oltre due secoli addietro. A Verona Goethe aveva passeggiato sul Liston della Bra calzando un paio di stivali alti oltre il ginocchio che avevano catturato lo sguardo incuriosito dei bravi veronesi, allora molto più misurati e custodi dell’eleganza di quanto non sia al tempo attuale. La spianata dell’Anfiteatro Romano aveva il lato orientale che fungeva da Campo Marzio per la truppa veneziana di presidio, non essendovi ancora stato edificato dal provvidente Asburgo il palazzo neoclassico che oggi è sede del comune, ed il Liston posto sul lato d’occidente della piazza era forse il luogo preferito dai veronesi per dilettarsi nell’osservare le esercitazioni dei soldati.
Napoleone, Metternich, Goethe: il genio della guerra, della sovranità e dell’impossibile, quello della diplomazia e del possibile, quello della poesia. Penso a queste tre individualità che furono in contatto reciproco e dipoi indiretto e furono tutti e tre nella Verona che ho appena lasciato. Napoleone incontra Goethe e gli rammenta che nella lista delle opere che si era portato da leggere durante la campagna d’Egitto figuravano pure “I dolori del giovane Werther”. O Napoleone quando impone a Metternich di arrangiargli un giusto matrimonio con la figlia dell’Imperatore sconfitto ad Austerlitz. Ed il ministro acuto e freddo che ingiunge al suo Sovrano titubante, consapevole dell’odio pel Bonaparte nel quale la figlia Marie Louise era stata allevata: “Maestà, cosa importa la felicità d’una principessa se misurata con la posta in giuoco?”
I pensieri si rincorrono come le ruote divorano i binari. Dal finestrino si vedono le luci sfuggire ed altre avvicinarsi: il Bonaparte condottiero vittorioso a Rivoli Veronese, sulla valle dell’Adige e poi coraggioso e magnifico ad Arcole, un borgo di poco oltre sulla direzione a mezzogiorno di San Bonifacio, la stazione in cui ora effettua una sosta il convoglio. Metternich al Congresso di Verona, presenti addirittura lo Zar dall’oriente ed il visconte Réné de Chateaubriand dall’estremo occidente francese. Lì furono gettate le fondamenta della Santa Alleanza dei troni.
Sono le strane e gloriose circostanze di una città vocata al transito tra oriente e occidente e tra settentrione e mezzogiorno.
Ora i pensieri si distaccano dalle impressioni immediate per tornare a quelle precedenti. Rammento il cartellone con le opere in programma per la stagione lirica dell’Arena e per l’associazione con il Bonaparte sconquassatore d’Europa, con Goethe e Metternich mi balena il ricordo prepotente di Ludovico van Beethoven.
Il treno corre veloce e passate le stazioni di Lonigo e Montebello imbocca la strettoja di Alte. Sui monti berici, si indovina da qualche lume l’abitato di Brendola aggrappato alla collina. In villeggiatura nella casetta a lato di quella della poetessa mi dilettavo a costruire e poi far volare dal balcone nella limitrofa valletta gli aeroplanini di carta che avevo portato ad una estrema perfezione estetica ed aerodinamica. A volte questi si sperdevano fra i rovi e gli arbusti incolti d’una ripida discesa e dovevo traversare alcuni sbarramenti di filo spinato per recuperarli. Altre volte il consorte della poetessa mi avvertiva la sera che sul davanzale della cucina avrei ritrovato l’aerino sfuggito alla vista e occultatosi tra i vasi di fiori o sugli alberi dopo che una virata dovuta a qualche corrente d’aria improvvisa aveva indotto la minuscola macchina volante a veleggiare sul loro giardino. Il basso muretto di cinta di quest’ultimo era infatti contiguo alla valletta e separato da essa da uno stretto ed impervio sentiero.
Ma ricordo davvero con gioia quando un avvocato vicentino, un distinto e colto signore sulle soglie della pensione, arrivò in visita dalla poetessa recando un dono straordinario. Era un cofanetto della Deutsche Grammophon con i dischi delle registrazioni di tutte le ouvertures beethoveniane. Dirigeva von Karajan. La mia vicina, non avendo il grammofono transitava il dono a me che da allora ho ascoltato e ancora ascolto con studio ininterrotto questi capolavori di musica per opera.
Ogni giro di ruota mi avvicina alla città palladiana. Nello sferragliare del convoglio vuoto lascio subentrare al grato ricordo della sorpresa musicale l’allegria classificatoria. Mi soffermo e scorro i titoli delle ouvertures del sommo di Bonn e voglio coniare degli acrostici con i quali infine rammentare al modo che mi era stato insegnato per le opere wagneriane, tutte le ouvertures:
RuSteWe
EgLeoCo
vale a dire, in ordine: Die Ruinen von Athen, il Kȍnig Stephan e Die Weihe des Hauses, dipoi, l’Egmont, le quattro versioni della Leonore, infine il Coriolan.
Strano che in Verona i dirigenti areniani mai abbiano messo in cartello un Fidelio di Beethoven. Nella città delle Pasque Veronesi si sarebbe potuto bene giustificare questo magnifico monumento poetico e musicale alla fedeltà fra gli sposi e alla vittoria contro gli arbitri crudeli e le storture rivoluzionarie. Dovrebbe essere ben noto dal capolavoro che Piero Buscaroli ha dedicato alla vita di Beethoven, che l’indignato genio di Bonn scrisse la musica del Fidelio per consacrare in opera d’arte la fine delle angherie e dei crimini quali un crudele commissario repubblicano, passato alla memoria come l’annegatore di Nantes, esercitò impunito fino a che non venne ucciso, sulle povere genti della Vandea, per tradizione monarchiche e cattoliche.
Il coro “Welch’eine Luft” cantato dai prigionieri nell’ uscire dalle segrete dov’erano stati rinchiusi per morirvi di fame non risuonerebbe bellissimo nella solenne cornice architettonica dell’antico anfiteatro veronese?
Il treno aziona i freni e dà un termine alle divagazioni pensate. Sono arrivato nella città palladiana. All’orologio della stazione le lancette segnano le ventitrè e venti.