Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
’è una chiesa a Roma che è particolarmente cara a me e a mia moglie, è Santa Trinità dei Pellegrini, la prima chiesa dove operò quel gigante che fu Filippo Neri… “Pippo Bono” come lo chiamano i romani.
In quel luogo viene, unico nell’Urbe, ancora celebrato il rito romano in forma extraordinaria, ma non è mia intenzione trattare di teologia dal momento che non è la mia materia e non posseggo l’esecrabile vizio di parlare di argomenti che non mi competono.
Piuttosto approfitto nell’invitare chi non la conoscesse, e anche tra i sedicenti cattolici sono tanti, a visitarla, perché l’edificio sacro ancora mantiene una notevole presenza d’opere d’arte occidentali ineguagliabili, a firma – tanto per fare un esempio banale - del Cavalier d’Arpino, maestro di quello “scomunicato di Caravaggio” e altri.
Ma vi prego, in attesa di assistere a una messa “come Dio comanda” – ovvero senza tamburi e chitarre – portatevi a ridosso dell’altar maggiore e fermatevi a guardarne la pala. Vi è dipinto – in soli 27 giorni! – la raffigurazione occidentale della SS. Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Un’opera geniale, un capolavoro assoluto del Primo Barocco, uno splendore che riverbera dottrinalmente, simbolicamente e… sì, ebbene sì, anche esotericamente, il Mistero della Trinità Divina. Pennellate assolutamente perfette su un grande telero, stese dalla mano di Guido Reni, lo stesso che ha dipinto l’Arcangelo Michele nella chiesa di Santa Maria della Concezione di Via Veneto.
Guardate la geometrica perfezione, l’armonia, l’equilibrio, il bilanciamento perfetto di un dipinto che pare muoversi di vita propria alla luce delle candele e al canto sacro dei sacerdoti e dei chierici.
La Trinità dipinta da Reni nulla ha di meno di quella presente nelle icone greco ortodosse, anzi… ha qualcosa di più. Sì di più perché all’aspetto meramente religioso si aggiunge una delle prove inconfutabili che Dio esiste: la Bellezza attraverso l’Arte.
E questa è un’opera non appartenente al Medio Evo, neppure più al Rinascimento ma, l’ho già detto ma lo ripeto, al 1625 ovvero già in età barocca.
Dunque questo a dimostrare quanto siano ignoranti, incolti, zotici e presuntuosamente in malafede in campo artistico, tutti coloro che ritengono che l’”arte sacra occidentale sia finita” dopo il Gotico se non addirittura prima.
Povere menti ottenebrate dal voler assolutamente porsi su un piedistallo senza aver conoscenza né studio di quanto sia complessa, articolata e profonda l’Arte.
A costoro, che invito caldamente non soltanto a una maggior umiltà e conoscenza dei loro limiti, suggerisco un corso di storia dell’arte anche a dispense settimanali e soprattutto una visita dei luoghi ove quell’arte meravigliosa, sacra e assoluta è ancora custodita: nelle nostre chiese, basiliche, cattedrali cristiane, cattoliche, e che non ha mai cessato di splendere da duemilaquindici anni!
Inserito da Dalmazio il 19/10/2015 17:03:44
Ringrazio l'amico Antonello per il suo consiglio da esperto musicologo qual è, e quale io non sono invece. Nulla contro i riti cristiani come quello etiope o caldeo o altri, anzi, facevo riferimento non ad essi con "tamburi" ma a quella "cosa" che qualcuno un tempo definì "messa beat" e che oggi, per esempio mi ritrovo, nella parrocchia sotto casa. Personalmente a me il Gregoriano va bene tutto, ma anche tutti gli altri tipi di canto antico compresa la polifonia, un po' meno i canti strimpellati postconciliari anni 70. Non ne faccio un discorso di contrapposizione tra conservatori e progressisti, io poi sono e resto reazionario quindi... Ringrazio anche Claudio per il suo salace commento che condivido.
Inserito da Antonello Colimberti il 19/10/2015 16:08:40
Caro Dalmazio Frau, sei "in attesa di assistere a una messa “come Dio comanda” – ovvero senza tamburi e chitarre"? E i tamburi della splendida liturgia etiopica o della Missa Luba dove li mettiamo? Vogliamo reintrodurre il canto gregoriano in tutte le chiese d'Occidente? E quale? Quello melenso, diffuso dall'Ottocento in poi da Solesemes, il solo che si conosceva fino a qualche decennio fa? C'è bisogno di un "ricollegamento tradizionale" certo, ma questo è una altro discorso, ed esula da false e inutili contrapposizioni tra conservatori e progressisti. Invito alla lettura di Jacques Viret, La musica occidentale e la tradizione, Simmetria, Roma 2012.
Inserito da Claudio Lanzi il 14/10/2015 12:28:03
Caro Dalmazio. Purtroppo certe fesserie derivano dalla superficialità crassa dei tromboni tuttologi che oggi discettano forsennatamente senza conoscere il senso di ciò che affermano. Il... presenzialismo compulsivo è una malattia di questi decenni. Forse qualcuno di coloro che affermano quanto dici ha letto distrattamente il grande Florenskij nella presentazione di Zolla (e ovviamente non l'ha capito): li dove parla (nelle Porte regali) della deviazione dell'arte occidentale a partire da Giotto. Ma una cosa è mettere in evidenza un massiccio ingresso dell'ego (che del resto è lo stesso che anima i presenzialisti di cui sopra) nella rappresentazione "realistica" che animerà il '500 e il '600. Una cosa è eliminare, a piè pari, la sacralità dell'Opera. Insomma studiamo il cardinale Gambara, studiamo palazzo Farnese di Caprarola (che, scusa se poco, era di un papa) E poi proviamo a dire che manca la sacralità. Non so a chi alludi nell'articolo ma, chiunque sia...deve ricominciare a studiare da Piero della Francesca e poi proseguire fino ai preraffaelliti. Se ognuno parlasse solo di ciò che ha studiato, ma soprattutto di ciò che ha amato per tutta la vita (e senza amore non c'è intellectus) e soprattutto ricordasse il salmo dove dice "poni domine custodiam ori meo" non farebbe un soldo di danno. Il fatto che in genere chi straparla ha studiato solo al fine di "mostrare" la sua sapienza e riguardo all'amare ciò che ha studiato....lassamo perde ch'è mejo.
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