Editoriale

Il sindaco di Venezia e l'arte in svendita. Mettiamo all'asta l'Italia così facciamo cassa!

Riccardo Rosati

di Riccardo Rosati

uigi Brugnaro ha da poco festeggiato il suo 100° giorno da sindaco di Venezia, la terza città più ricca di arte e storia al mondo, dopo Roma e Firenze, con buona pace della sopravvalutatissima Parigi, dove, Sainte-Chapelle a parte, per trovare una costruzione risalente a prima del 1500 bisogna faticare non poco. Non molti ricordano infatti che Lutezia (così venne chiamata dai Romani) è essenzialmente una città moderna, quasi completamente ricostruita nella seconda metà del XIX secolo per volontà di Napoleone III, affidandone la pianificazione al Barone Haussmann. Sarà forse una verità che sconvolgerà qualcuno, ma ecco il motivo per cui la Ville Lumière è tanto amata, ad esempio, dagli americani. Per farla breve, essendo Parigi una città in gran parte moderna, gli statunitensi la possono “comprendere”, cosa che invece non riescono a fare con le città italiane, troppo vecchie e piene di stradine, vicoli e piazzette da Terzo Mondo, per loro sia chiaro. Può dunque quella Venezia tanto amata da John Ruskin essere affidata a un sindaco che se ne esce così?: “Metto Klimt all'asta per risanare il debito”.

Brugnaro ha persino voluto spiegare la sua demenziale proposta: “La soluzione potrebbe diventare un modello per le altre città". Ah sì? Del tipo vendere la sezione etnografica del Museo Pigorini? Tanto quella non è arte legata alla storia di Roma. Già, liquidare il Patrimonio, è questa la “geniale” idea del Sindaco: si può vendere tutto, basta che non sia stato creato sul luogo. Caro Brugnaro, se come da lei indicato, si potrebbe alienare uno dei pezzi forti di quel piccolo scrigno, con sede a Ca' Pesaro, che è la Galleria Internazionale d'Arte Moderna, ovvero la “Giuditta II” (1909) di Gustav Klimt, non essendo questa opera legata al territorio veneto, allora lo stesso dicasi per quell'unicum mondiale che sono i cavalli bronzei della Basilica di San Marco, giacché sono di epoca ellenistica; “trasportati” da Costantinopoli nel 1204, come bottino della IV Crociata. Riuscirà il Sindaco dove Napoleone ha, fortunatamente, fallito, quando si portò i suddetti cavalli a Parigi? Speriamo di no, visto che un altro Antonio Canova in giro non ce ne è! 

Andiamo oltre, in un rapporto consegnato nei giorni scorsi sempre da Brugnaro ai parlamentari veneziani si parla di: “valorizzazione del patrimonio mobiliare attraverso la vendita e monetizzazione di opere d'arte di natura pittorica che non pregiudicano l'integrità delle collezioni esistenti”. Mmh, “mobiliare”, ma potremmo anche dire “immobiliare”, aggettivo assai amato dal Primo Cittadino. Precisamente, il patron della agenzia per il lavoro Umana sta lottando da mesi per accaparrarsi l'isola di Poveglia nella Laguna, così da farci, ovviamente, un hotel di lusso per danarosi stranieri. Lontani i tempi del Conte Vittorio Cini, il quale regalò alla Serenissima una fondazione dedicata all'arte, intitolata alla memoria del figlio, sull'isola di San Giorgio Maggiore. Orbene, la terza città più bella del pianeta è affidata a gente come Brugnaro.

Sanare i conti del Comune di Venezia, vendendo il Patrimonio prima e lottizzando, come nel caso dell'orrido hotel moderno a forma di cubo di recente costruzione, poi. L'imprenditore Brugnaro ha proprio avuto l'idea del secolo, privarci della nostra essenza, per rattoppare gli sprechi che si moltiplicano di continuo. Vendere la tela di Klimt porterebbe a due risultati: il primo, e immediato, sarebbe la alienazione di un bene artistico che appartiene di diritto alla Nazione; il secondo, un sacrificio inutile, considerato il malaffare che connota l'andare delle cose in Italia. Dunque, questa vendita non sanerebbe proprio nulla, se non le tasche bucate di qualche “amico di amici”. Due elementi ignora tuttavia il Sindaco. Uno, la sua proposta va contro la Costituzione! Quella terribile pratica che caratterizza i musei anglosassoni e che va sotto il nome di “deaccessioning” (la rimozione di una opera da una collezione per far cassa) non è, per ora, legale in Italia senza l'approvazione del Ministero dei Beni Culturali. Due, il quadro di Klimt è legato alla storia artistica di Venezia, dato che si inserisce nella tradizione della pinacoteca che lo custodisce, la quale nasce nel 1897, acquisendo le migliori opere esposte nelle varie edizioni della Biennale. Brugnaro sa forse di cosa stiamo parlando, la Biennale? Crediamo di no. Poi, quale “ignoranza museologica”: se la Galleria si chiama per l'appunto “internazionale” un motivo ci sarà oppure no? Vendere Klimt sì, ma Canaletto e Tiziano no? Che scemenza.

È vero, abbiamo poc'anzi accennato al Ministero, che dovrebbe stroncare sul nascere tali sciagurate trovate. Cosa fa Dario Franceschini? Ha chiamato Brugnaro e, a brutto muso, lo ha messo in riga? Non proprio. Il Ministro, a modo suo, se la ride e ha laconicamente risposto: “Spero che stia solo scherzando”. Suvvia, non facciamoci mancare una fiera ben completa di “minus habentes”, così da essere coerenti con quel Kali Yuga di cui più volte parlò Julius Evola. Ecco che l'ex-ministro Renato Brunetta esulta alla proposta di Brugnaro: “Operazione saggia e positiva. Il Sindaco deve solo fare attenzione a non smembrare una collezione artistica e squisitamente veneziana”. Cosa si intende, di grazia, signor-professor Brunetta per: “squisitamente veneziana”? Allora siamo al punto di partenza, e dobbiamo perciò vendere pure i cavalli bronzei della Basilica.

Anni fa, ci si illudeva che i sindaci potessero, talvolta, compensare la orrida gestione del Paese da parte di uno Stato che sempre più andrebbe chiamato “Repubblica delle Banane”. Oggi, tra Roma, Napoli, Venezia, vediamo le nostre città più belle, che il mondo ci invidia, in mano a dei “piccoli uomini”. Una situazione che calza a pennello con un aforisma, immancabilmente pungente quanto acuto, di Karl Kraus: “Quando il sole della cultura è basso, anche i nani hanno l'aspetto di giganti".

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