Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Colpo di scena, peraltro ampiamente annunciato: il sindaco di Roma non si dimette più. L’ineffabile Ignazio Marino, oggetto di un dileggio ormai universale, ha ritirato le dimissioni che aveva annunciate circa quindici giorni fa. Lo ha fatto alla sua maniera “marxiana”, ops... volevo scrivere “marziana”, il chirurgo prestato alla politica e incaponitosi nell’esercitare, senza averne le capacità. la difficile arte dell’amministrazione di una città impervia (politicamente, amministrativamente e non solo) come Roma sembrava arrivato da Marte, ma era evidente che in realtà arrivava da un vetero-marxismo di maniera, ricalcato su quello di certi personaggi dei vertici del partito comunista russo degli anni ’70, che imperturbabili e ottusi procedevano a testa bassa senza accorgersi di stare andandosi a schiantare sul muro incrollabile della prova della Storia .
Quei comunisti, boiardi di stato, vertici del partito che non avevano visto o voluto vedere che la storia stava cambiando, che, fino a quando non sono stati fatti sloggiare con la forza dell’ineluttabile cambiamento, hanno continuato a presidiare le loro algide stanze del potere. Quei comunisti sono l’archetipo dello stordito sindaco di Roma.
Lui è l’uomo solo al comando, nel senso che non ha più neppure un sostenitore, né fra gli amici, né, ovviamente fra gli avversari, e il comando, che pretende di trattenere nelle mani, sta sfuggendo via come l’acqua. Ma lui non molla, non abbandona l’imperturbabilità “sorridente” e tira diritto sperando, dice lui, in un chiarimento con il suo partito, nel frattempo continua a cercare di fare il sindaco, promette (per i romani è una minaccia) di completare la chiusura dei Fori, e via progettando.
Ma il suo partito dice di aver già fatto chiarezza: Marino non ha più il sostegno del Pd e quindi deve andarsene per manifesta incapacità rimbalzata a livello planetario che non solo danneggia Roma (ma questo a Renzi interessa relativamente), ma danneggia in maniera devastante il Pd di cui il sindaco marziano/marxiano è espressione, avendo vinto le primarie del partito e poi le elezioni amministrative. Quelle stesse primarie che hanno funzionato per Renzi portandolo al vertice del Pd, non dimentichiamolo, quindi non sono (o non dovrebbero almeno da parte del fiorentino segretario) passibili di essere messe in discussione come sistema. Se Renzi lo facesse dovrebbe ammettere di essere lui stesso delegittimato non essendo stato eletto da chicchessia, se non dai simpatizzanti al suo partito appunto con le primarie.
Nel frattempo si è saputo che Marino aveva mentito dicendo di aver chiarito tutto con i magistrati, dopo la “chiacchierata” sugli scontrini, non era affatto questione chiusa come aveva affermato, ma si era aperta un’indagine su di lui.
I vertici del Pd si indignano vieppiù, ora sono loro i primi a scagliare pietre sul “loro” Marino. Dimenticano che quel loro sindaco ha fatto danni (denunciati da tutte le opposizioni nonchè dai romani, cosa più importante) fino dal primo giorno; ha dimostrato un’incapacità totale dalle prime delibere; ha reso evidente la sua ignoranza ai veri problemi della città in nome di un atteggiamento di tipo ideologico (pedonalizzazioni forzate e squinternate, matrimoni gay annullati dalla consulta ecc ecc) che ha fatto prevalere la politica sull’amministrazione, la voglia di accreditarsi come leader ideologicamente strutturato, piuttosto che come umile amministratore di una città con più problemi che abitanti.
Marino ha fallito in maniera clamorosa, ma il Pd ha fatto peggio, gli ha permesso di portare il fallimento ad un livello di non ritorno rispetto all’incancrenirsi e al deflagrare dei problemi della Capitale, e lo ha fatto perché sapeva che facendo cadere Marino avrebbe perso il potere su Roma.
Renzi non voleva perdere la città, e l’ha lasciata in mano ad un’amministrazione dissennata fingendo di porvi rimedio con pesudocommissariamenti che era evidente non sarebbero serviti.
Poi con il passare del tempo si è reso conto che la valanga dell’incapacità di Marino avrebbe travolto anche il Pd e non solo a Roma.
Chi può fidarsi di un premier che lascia un sindaco del proprio partito di cui è ovviamente segretario al suo posto nonostante l’evidenza di devastante (in senso proprio) incapacità?
Così adesso, troppo tardi, Renzi e il Pd diventano i più acerrimi nemici di Marino, si ergono a paladini della Capitale abbandonata a se stessa da un incapace.
Peccato che quell’incapace non solo ce lo hanno messo loro, ma gli hanno anche permesso di arrivare fin qui!
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