Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
lass="Normal">E adesso? Questa è sicuramente la prima domanda che venerdì sera è rimbombata nella testa di molte persone, in un quel crescendo di angoscia e incredulità che attanagliava lo stomaco con lo scorrere di immagini che sembravano tratte da uno sceneggiato truculento.
Ma nella testa di chi, esattamente?
Sicuramente, di tanti cittadini di Francia, Italia ed Europa che in questi ultimi anni hanno assistito con reazioni di vario genere, che vanno da una più o meno simulata indifferenza alla battutaccia, alla” incazzatura” da bar e – molto più raramente – a abbozzare un tentativo di reazione, a un incredibile crescendo di stupidità buonista che ha trasformato un problema umanitario in una minaccia per la nostra sopravvivenza. Si può certo concordare sul fatto che non si possono abbandonare senza alzare un dito migliaia, anzi milioni di persone al loro destino, soprattutto dopo essere stati largamente complici nel determinarlo; ma questo non significa assolutamente che la soluzione debba essere ancora peggiore del male .
La melensa macchina da guerra buonista si è già naturalmente messa in moto con il suo nauseabondo carico di luoghi comuni: che l’equazione musulmano = terrorista è insensata, che la politica di accoglienza non può e non deve cambiare, etc. Il politically correct lontanissimo dal farsi anche la minima traccia di esame di coscienza ribadisce le solite, assurde e criminali scuse con cui cerca, purtroppo spesso riuscendoci, di anestetizzare le coscienze e i già poco reattivi e massificati cervelli di quel che resta dell’Europa.
E’ ovvio – si spera – che non si vuole certo minimizzare l’orrore di quanto accaduto. Pensare che da oggi in poi si debba fare testamento o quanto meno rivolgere una fervida preghiera al proprio santo protettore (non si scandalizzino gli atei e lo sostituiscano con qualcos’altro di loro gradimento) prima di andare allo stadio, a teatro o semplicemente a prendere un caffè al bar, soprattutto se si vive in una città particolarmente “ a rischio” è semplicemente pazzesco, anche se una delle poche cose giuste che sono state dette è che si deve cercare il più possibile di non abbandonarsi alla psicosi da attentato. Certo, se si pensa a quei poveri morti di Parigi, più facile a dirsi che a farsi.
Quello che però fa particolarmente rabbia è pensare alla consueta ignavia – o meglio ipocrisia – con cui i governanti europei, con quelli italiani adeguatamente a guinzaglio, stanno reagendo a questa questione. Il ministro dell’interno Alfano e quello della difesa Roberta Pinotti hanno parlato delle intenzioni della sedicente grande coalizione anti Isis, ribadite dal padrone (o forse meglio, dal capo burattino) Obama: "Insisteremo con i membri della coalizione per aumentare la pressione sull'Isis e contribuire a una transizione di pace in Siria, con una risoluzione politica, per alleviare la sofferenza di tante persone.”
C’è da congratularsi intanto con il capo della casa Bianca per essersi finalmente accorto della “sofferenza di tante persone”. Perché un’altra cosa che francamente dovrebbe far salire alle stelle il tasso di disgusto di ogni essere almeno raziocinante è questo: senza nulla togliere ai poveri morti di Francia, è possibile che le coscienze vengano scosse solo da quanto accade in casa nostra o nei paraggi? Le migliaia di vittime – soprattutto fra i cristiani – della Siria, quelle che vengono scannate a intervalli sempre più brevi in paesi dove l’integralismo musulmano gareggia in efferatezza con il sedicente califfo riempiono al massimo le cronache per un giorno o due, senza che a nessuno gli venga in mente qualche “je suis”, o cose di questo tipo. Per non parlare poi dell’aereo russo recentemente abbattuto: una bazzecola di 224 morti, ma se si tratta di fare un dispetto a Putin …
Come notava un attento osservatore quale Maurizio Blondet, dall’analisi delle reazioni si può capire qualcosa di più, se non sulle cause, perlomeno sul significato di questo attentato. Intanto non si dovrebbe dimenticare che il governo francese, che sicuramente ha in buona parte queste vittime sulla coscienza, ha per molto tempo abbondantemente finanziato i ribelli anti Assad in Siria, per ammissione dello stesso Hollande: quelli che pudicamente si definiscono “ribelli moderati” e che non starebbero né con governo legittimo né con il sedicente stato islamico. “Fateci indovinare quale possa essere il progetto: rilanciare l’intervento della NATO in Siria con la falsa motivazione di voler vendicare le vittime e sconfiggere per sempre l’ISIS ma in realtà per non rimanere indietro all’intervento diretto fatto in quel paese dalla Russia e dall’Iran che hanno pesantemente attaccato le basi e le postazioni dell’ISIS e degli altri gruppi ottenendo un arretramento e la distruzione di buona parte di questa organizzazione. Organizzazione che gli occidentali (USA e Francia in testa) hanno lasciato prosperare per oltre un anno e mezzo”[i], scrive Blondet.
Complottismo? Sarà, ma non occorre essere complottisti per accorgersi che c’è qualcosa di decisamente sbagliato, o quantomeno che non torna affatto, nel modus operandi nei confronti dell’Isis.
La Francia, in questo contesto, ha sicuramente le sue colpe, per la sua politica mediorientale che ha portato alla esplosione della “polveriera Libia” e per la stessa politica siriana. Tutte cose che trasformato il fenomeno migratorio, già prima rilevante, in una vera e propria “emergenza epocale” peraltro gestita malissimo: invece di ricreare condizioni di vita accettabili nei paesi di provenienza, si è spalancato le frontiere a chiunque, anche a soggetti quantomeno discutibili. Non saranno tutti terroristi, ma di certo la situazione dell’ordine e della sicurezza pubbliche non è migliorata, negli ultimi tempi.
Viene da chiedersi se non si tratti di una ironia della storia che cose di questo genere accadano proprio nel primo, strombazzatissimo centenario di quella guerra folle e suicida che fu il primo conflitto mondiale, in cui, oltre a disegnare la carta d’Europa secondo criteri del tutto arbitrari e antistorici, si procedette anche alla “sistemazione” dei territori dell’ex impero ottomano in modo da innescare tanti possibili focolai di esplosione che stanno adesso venendo alla luce. Ma questo è un discorso che porterebbe troppo lontano.
Un’ ultima riflessione deve essere invece fatta accostando un episodio certo non paragonabile per gravità, ma altamente significativo come quello della scuola fiorentina che cancella la visita a mostra di impostazione “troppo cristiana” per non turbare la sensibilità dei “diversamente credenti”. Qualunque siano le vere cause e le vere dinamiche dell’attento di Parigi e tristi episodi consimili, è certo che la condizione dell’Occidente è quanto di più inadeguato possa esserci per una reazione davvero efficace. Non si dovrebbe mai dimenticare che anche la secolarizzazione e il laicismo selvaggio hanno i loro “mostri”, e se non si può dare certo torto a chi rifiuta un modello di civiltà fondato sul materialismo assoluto e sulla totale assenza di valori, certo l’alternativa non può essere il fanatismo religioso o tantomeno il terrorismo. Sarebbe più che sufficiente che l’Occidente trovasse il coraggio di non vergognarsi delle proprie radici e del proprio passato, che ha certo delle ombre ma anche delle luci che ben poche civiltà possono vantare e che si cominciasse a riflettere se veramente il modello della società multirazziale, del melting pot etc. sia un futuro inevitabile e soprattutto positivo, senza per questo evocare le aberranti assurdità del razzismo biologico. E in conclusione non sarebbe male se anche la Chiesa cattolica si ricordasse dei duemila anni di cristianesimo che si porta sulle spalle e lasciasse perdere le buffonate e pagliacciate demagogiche di cui ultimamente ha fatto particolarmente sfoggio, specie da quando Francesco ha trasformato il papato in una sorta di talk show. Come scrisse un pontefice di ben altra levatura, Benedetto XVI, proprio a proposito dell’immigrazione e dei problemi ad essa collegati, quello che si dovrebbe davvero ricordare è “ il diritto a non emigrare, a essere cioè in condizione di rimanere nella propria terra”.
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