Fuochi di guerra e battaglie di carta

Non c'è dubbio che siamo in guerra, meno chiaro chi sia il nemico e come sconfiggerlo

Coprifuoco a Bruxelles ma il terrorista è ancora in fuga, intanto tutti chiacchierano hanno la ricetta in tasca e soprattutto si accapigliano per la gioia del califfato che ha raggiunto il suo obbiettivo: dividerci

di Domenico Del Nero

Non c'è dubbio che siamo in guerra, meno chiaro chi sia il nemico e come sconfiggerlo

Davanti al sangue che scorre non è facile mantenere un minimo di obiettività.  Quello che sta accadendo in questi ultimi giorni- dalla strage di  Parigi al nuovo attentato in Mali sino alle incredibili immagini di una Bruxelles in stato di assedio – dà veramente la sensazione di uno stato di guerra: un conflitto del tutto inedito con un fronte che non più soltanto ed esclusivamente militare, ma coinvolge anche i civili più di quanto sia mai accaduto in passato.

E’ inevitabile dunque che scoppi anche un’altra guerra, sicuramente meno drammatica e per certi aspetti persino ridicola: quella delle penne o meglio delle tastiere, soprattutto da quando il dilagare dei social network ha trasformato in opinionista anche il “briaco” del paese o il grullo del circondario.  E come sempre, quello che più colpisce in questo dilagare di inchiostro (o se si preferisce: di byte) è la totale e assoluta mancanza di un minimo di logica, unita ad una ignoranza più abissale della fossa delle Marianne.

Premesso che soprattutto in eventi di questo calibro  è assai difficile avere in tasca la famosa “formula che mondi possa aprirti” , un confronto di opinioni anche profondamente diverse ma qualificate e motivate  sarebbe utile per cercare, se non altro, di prendere coscienza dei veri termini del problema. “Risolverlo” poi non tocca certo a noi, se non nella misura in cui, cittadini ed elettori (ancora per quanto non si sa) dovremmo in teoria avere il diritto e il dovere di determinare la nostra classe dirigente. Questa però è un’altra, dolorosissima storia.

Così tra i vari proclami, inviti a nuove “crociate” o a nuovi fraterni abbracci con tanto di buon appetito e felice ramadan, distinguo e inviti a fare di ogni foulard un chador o un burqa, sembrano emergere due linee di tendenza, peraltro abbastanza prevedibili e scontate: chi esorta a considerare ogni musulmano un terrorista o quanto meno un nemico da distruggere (ovviamente, al bar dietro un grappino o armati di tastiera o al più di play-station) o viceversa chi sostiene, grondando buonismo e politically correct, che “non è cambiato niente … il dialogo deve continuare … “ con relativo invito, quando si voglia darsi un tocco “acculturato”, a ricordarsi delle Crociate di cui l’Occidente, e Santa Madre Chiesa in primis, si sarebbe macchiata.

Tanto per liquidare una volta per tutte questo ultimo punto, sarebbe tante che codeste vestali  dessero un’occhiatina a una battaglia non conosciutissima,  ma che persino i manuali di storia vedono come una causa determinante delle crociate:  Manzikert (1071) che segnò una tappa decisiva dell’espansionismo turco in Asia Minore: questo segnò la fine dell’equilibro che si era stabilito in Terrasanta  tra cristiani e musulmani e i pellegrinaggi a Gerusalemme diventarono quasi impossibili. La cosiddetta “prima Crociata” fu dunque una guerra difensiva, non un attacco terroristico a popolazioni stanziate nei loro territori da secoli se non da millenni. Che poi la Chiesa avrebbe dovuto allora invitare la gente a farsi piamente scannare e impalare, questo per ora non lo ha detto neppure papa Bergoglio, pur avendo ripreso la discutibilissima fisima di chiedere scusa e destra e a manca .

Così come suonano ridicoli i richiami ad un Islam “moderato” che tra l’altro sono diventati la scusa anche per appoggiare (Usa e Francia in primis)  in Siria alcuni ribelli contro il governo legittimo del presidente Assad.  Certo in Europa la situazione è molto diversa, ma chi parla di un Islam moderato dimentica un piccolo particolare: che esso non esiste, per la semplice ragione che  l’Islam non è né un “monolite”, né ha una organizzazione strutturata come le varie Chiese. Possono se mai esserci – e certo ci sono – musulmani, più che moderati, semplicemente umani e  civili, ai quali ripugna profondamente il sangue sparso da certi loro indegni correligionari.  Quindi, se è sicuramente sbagliato e profondamente ingiusto criminalizzare ogni islamico per il solo fatto di essere tale, è però altrettanto ridicolo appellarsi a un qualcosa che non è assolutamente definibile in certi termini che sono tipici, se mai, del nostro gergo politico. 

Ci sono se mai soltanto gli Imam, alcuni dei quali, come quello di Firenze Izzedin Elzir, persone di grande civiltà e umanità con cui il dialogo non è certo un problema: non per nulla, la condanna di Elzir dell’attentato di Parigi  è stata inequivocabile e netta, senza mezzi termini o distinguo. Però dichiarando che i musulmani sono “italiani di fede islamica”, l’Imam aggiunge : “I politici che cavalcano la paura della gente tirando in ballo la religione sono imprenditori dell`odio e della paura. I nostri concittadini sono più intelligenti di loro, chiedo a loro di essere responsabili. A livello personale ho ottimi rapporti con Salvini, lo ho invitato ad essere responsabile in particolare in questi momenti difficili [i]”. Egli dimentica un piccolo particolare: non i tutti i suoi “correligionari” sono come lui; si scorda forse di certe dichiarazioni di alcuni Imam tutt’altro che “pacifiche”  (si vedano, nel gennaio di quest’anno, le farneticanti dichiarazioni di quello di Londra); di episodi di intolleranza, violenza o tentativi di sopraffazione che, se non possono e non devono essere generalizzati, non possono essere neppure ignorati. Se veramente è amico di Matteo Salvini (cosa che va a onore sia suo che del leader della Lega)  non sarebbe male che avesse con lui un bell’incontro di chiarificazione e confronto.  Scaricare il tutto sulle spalle di “politici che cavalcano la paura” è altrettanto inaccettabile delle generalizzazioni superficiali: anzi, è un’altra di queste.  

C’è ad esempio una statistica, riportata da “Il Giornale” in un articolo firmato da Fausto Biloslavo: un giornalista di cui si può decisamente fidare.  Esisterebbe dunque secondo un sondaggio realizzato dall’istituto IPR, una minoranza di almeno 120.000 persone che in Italia  “giustifica la carneficina di Parigi, non denuncerebbe i terroristi e vorrebbe andare a vivere nel Califfato (…) La mia stima è che ci sia un 10% di islamici critici sul milione e mezzo indicato dalla Caritas, che non sono tutti terroristi, ma risultano propensi ad un appoggio ideologico» sostiene Noto  (Antonio Noto ha realizzato l’indagine per conto della IPR, n.d.r.).  Le percentuali aumentano alla domanda sulle responsabilità relative alla nascita del terrorismo islamico. Per il 46% non hanno a che fare con la religione di Maometto, ma per il 24% la colpa è  “dei paesi occidentali che vogliono colonizzare i territori in cui si professa l'islam”.[ii] Si badi bene che queste cifre si riferiscono tutte a persone regolarmente censite, non a clandestini.

Dunque, ben vengano le manifestazioni contro l’Isis e le dichiarazioni di condanna, che in Italia numerosi Imam, oltre quello di Firenze, hanno pronunciato: con la consapevolezza però che tutto questo non è sufficiente. Se le comunità islamiche vogliono essere davvero credibili, è necessario che i fiancheggiatori del “Califfato” vengano isolati e soprattutto chi protegge o copre terroristi o loro fiancheggiatori  venga denunciato senza la minima esitazione. Altrimenti, l’impressione che si rischia di dare è quella di voler alzare una cortina fumogena. In un conflitto come questo non si può essere neutrali, tiepidi o limitarsi a qualche distinguo.

E qui si passa all’ultimo punto, il più dolente della questione: oggi siamo per l’appunto in guerra.  Non sono illazioni catastrofiste: è lo stesso “califfato” che l’ha dichiarata e lo sta dimostrando in modo quantomeno inequivocabile.   C’è da chiedersi di quanti morti ci sarà ancora bisogno prima che chi di dovere se ne renda conto e lo realizzi pienamente. Certo, le potenze occidentali hanno le loro tremende, schiaccianti responsabilità: la politica perseguita in Libia e ancora oggi in Siria stanno a dimostrarlo, puntando il dito soprattutto contro gli Usa e quella Francia che oggi piange calde lacrime, ma che dovrebbe farsi prima di tutto un severo esame di coscienza e fare un bel processo alla propria classe dirigente; e questo senza nulla togliere al cordoglio, alla pietà e alla solidarietà per le vittime.

Già, l’Occidente. Le sue responsabilità non si limitano certo a questo. Fa sicuramente impressione vedere in questi giorni Bruxelles sotto assedio per timore di attentati, ma come dimenticare che essa è la “capitale” di quell’Unione Europea che ha voluto la sistematica distruzione della propria identità e delle proprie tradizioni, a partire dal veto di menzionare (e ancora una volta, grazie soprattutto a un francese!) le radici cristiane nella sua costituzione? Siamo in guerra, certo, ma siamo sicuri di sapere esattamente da che parte si trovi il nemico?

Una identità forte e decisa dovrebbe essere la prima arma che l’Europa dovrebbe opporre a qualsiasi tipo di fanatismo o integralismo, indigeno o “d’esportazione”. Ricordare semplicemente che la nostra civiltà è figlia del mondo classico e del cristianesimo:  è incompatibile, tanto per fare un esempio, con la poligamia e il considerare la donna come un essere inferiore. Se è vero che anche in Europa la donna è stata per molto tempo in condizioni di inferiorità, nondimeno essa ha sempre ha sempre avuto una sua dignità e un suo ruolo: e ci sono stati casi di sovrane come Maria Teresa d’Austria che oltre ad essere grandi figure sono diventate per certi aspetti il simbolo di un’epoca. La nostra civiltà non può e non deve rinunciare a questi e ad altri paletti fondamentali e sarebbe anche ora, per quanto riguarda il proliferare di moschee in Europa, di chiedere anche un minimo di reciprocità per i cristiani nei paesi islamici. Le organizzazioni musulmane, se lo desiderano, hanno sicuramente l’autorevolezza di farsi sentire anche nei loro paesi d’origine. E non sarebbe male se per una volta qualche governo “occidentale” non si limitasse a pensare al petrolio.

Non è questo insomma il tempo di concessioni a senso unico.  Chi vive nel nostro paese o in un qualsiasi stato rispettandone leggi , costumi e tradizioni, pur conservando legittimamente i propri almeno sinché non contrastano con la legislazione del paese ospitante (e a maggior ragione se ne ha assunto la nazionalità) ha diritto ovviamente al massimo rispetto e la nostra civiltà deve vedersi anche in questo, nell’evitare discriminazioni di qualsiasi tipo su base etnica e religiosa.  Questo però non deve far abbassare  una guardia che da troppo tempo è stata del tutto calata.   Solo guardandoci dagli eccessi di reazione (peraltro al momento inesistente) e soprattutto da una malintesa “tolleranza” che finisce, complici le autorità politiche e spesso quelle ecclesiastiche, per trasformarsi in resa senza condizioni  potremo evitare il peggio: che i fuochi che già stanno bruciando da troppe parti si trasformino in un unico, devastante incendio. Un incendio che non avrebbe neppure la dignità del wagneriano  Götterdämmerung e nemmeno di un crepuscolo da l'Empire à la fin de la décadence;   al massimo, sarebbe uno squallido rogo da discarica.


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