Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
In occasione della mostra aperta a Pistoia presso la Fondazione Caript ripubblichiamo l'articolo di Sigfrido Bartolini uscito su "La Nuova Città", Firenze, n°3-V serie – Settembre 1987
A Pistoia, quando Bugiani inizia le proprie esperienze pittoriche, nel 1923, esiste già un gruppo di artisti in vario modo partecipe della rivoluzione culturale maturarata Firenze nel primo decennio del Novecento: lo scultore Andrea Lippi,il futurista Mario Nannini, il pittore Alberto Caligiani, l'eclettico Giulio Innocenti e il più attento e culturalmente preparato Giovanni Michelucci.
E' dall'incontro con Michelucci che Bugiani trae l'impostazione per una propria visione della realtà. Nel più maturo collega Bugiani trova un amico e un maestro per lo studio degli antichi pittori in un costante riferimento a Giotto, e per la pratica sul vero nelle campagne del pistoiese, ancora calate in quel mondo agreste di rivelazione pascoliana, ma aperto ad ogni possibile rivisitazione.
Assimilato per spontanea adesione il suggerimento del colto Michelucci, Bugiani (e con lui altri coetanei particolarmente dotati quali Renzo Agostini e Alfiero Cappellini) si dedica a dipingere il paesaggio trasfigurandolo in uno stile sobrio e armonioso capace di ricreare una atmosfera quasi mistica, un francescanesimo dell'immagine non disgiunto da una viva intellettualità. Che facciano da soggetto le case dei contadini e i loro volti scabri, i mulini dai bottacci a specchio o il corso tranquillo della Bure, nella pittura di Bugiani tutto appare come filtrato, decantato e restituito in chiave capace di attualizzare forme e valori antichi.
Se i dipinti ricreano atmosfere incantate di quel mondo di civiltà contadina che sembra ormai la residua espressione di una terra e di una razza, certi disegni eseguiti in punta di lapis su povera carta (che ritroviamo simili anche in Agostini),con appena un accenno di chiaroscuro che accompagna timido la linea costruttiva, raggiungono un rigore di sintesi e una potenza espressiva che li accomuna ai disegni dei quattrocentisti toscani, calati in un mondo agreste di cultura popolare.
Per la tipicità di alcuni caratteri distintivi, oltre allo stile e alla considerevole qualità raggiunta, un gruppo di opere giovanili di questi autori pistoiesi vicini a Michelucci possono considerarsi un caso atipico, veramente singolare nel pur ricco panorama del nostro Novecento artistico.
Nel lavoro di Bugiani, questo momento resterà come un giovanile stato di grazia che vede coincidere la creatività con l'entusiasmo e l'esuberanza dell'età verde, e la gioia di vivere con la volontà di dipingere per dar forma e sostanza all'impeto arcano che gli urge dentro e che noi recepiamo fissato nella purezza della sua visione.
In seguito, nella costante attività di pittore, quando altri interessi, sollecitazioni ed esperienze guideranno il lavoro di Bugiani; quando gl'inviti a Biennali e Quadriennali ne sanciranno il riconoscimento da parte della critica più attenta, il suo talento pittorico si dimostrerà capace di innumerevoli assimilazioni che altri, per esempio Ardengo Soffici, potranno addirittura vedere come un ulteriore sviluppo di contro ai valori primitiveggianti dell'inizio.
Ma quell'antico rigore, quella ricerca quasi ascetica culminata in una sublimazione aderente alla realtà del paesaggio toscano e pistoiese, non solo li vedremo di quando in quando riaffiorare con la nostalgia di una perdita avvenuta, ma resteranno anche un desiderio e un modulo al quale riferirsi, capace di mantenerlo al riparo dalla banalità di un facile eclettismo. La forza delle origini diviene così per Bugiani una voce di sottofondo che fa da imperativo morale capace di mantenere, come un velo proptettivo, una costante misura di onesto operare nel lavoro di questo artista tipicamente toscano.
Pietro Bugiani. Il colore del tempo5 dicembre 2015 – 31 gennaio 2016
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